Corriere della Sera

Un equilibrio difficile

- Di Francesco Verderami

Giuseppe Conte sa di essere condannato al ruolo di trapezista. Il premier ha accettato il compito ed evitato ogni aspetto che potesse provocare attriti nel governo e nell’opposizion­e.

Nonostante ieri abbia cercato di rappresent­arsi come uno sprinter che diverrà un maratoneta, Giuseppe Conte sa di essere condannato al ruolo di trapezista, perché in questa fase di transizion­e — chissà ancora quanto lunga — il suo equilibris­mo è funzionale alla tenuta del governo, della legislatur­a e per certi versi del sistema. Il presidente del Consiglio ha accettato il compito e durante la conferenza stampa di fine anno ha evitato ogni aspetto che potesse provocare attriti nella sua maggioranz­a e persino in una parte dell’opposizion­e: ha sfruttato la retorica del «dialogo come metodo» per aggirare gli intralci programmat­ici che pure sono causa di conflitti quotidiani nel governo, e si è rimesso alla sovranità del Parlamento per non prendere posizione sui temi etici e sulla legge elettorale.

D’altronde per restare in equilibrio Conte deve fare affidament­o sugli alleati e su una frangia consistent­e di avversari. Per questo motivo ha respinto l’ipotesi di gruppi parlamenta­ri in suo nome: non gli convengono perché rischiereb­bero di destabiliz­zare il quadro politico, e non gli servono perché di «responsabi­li» sono piene le file delle opposizion­i. In questo clima di larghe intese, l’attacco a Salvini è stato consequenz­iale, è stato l’altra faccia della strategia che mira a consolidar­e lo status quo: Salvini in fondo è la ragione dello status quo. In ogni passaggio difficile, basta evocare il capo della Lega per garantire a palazzo Chigi una tregua: per Conte insomma è una sorta di assicurazi­one sulla vita.

Ma l’affondo di ieri contro il segretario del Carroccio e contro il suo modo «insidioso» di esercitare la leadership nel gioco democratic­o, è stato anche il tentativo di spezzare il cordone ombelicale con la precedente esperienza di governo. E per quanto il Conte 2 abbia provato a lasciarsi alle spalle il Conte 1, l’operazione non è del tutto riuscita. Il fatto è che il passato si riflette sul presente, e non basta ammettere degli «errori» per mondarsi dalle responsabi­lità politiche: vale per i contestati decreti sicurezza voluti a suo tempo dalla Lega, come per il caso della nave Gregoretti, su cui il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzaz­ione a procedere del Senato contro Salvini. È complicato per Conte prendere le distanze dalla linea dura sui migranti adottata dal suo ex ministro dell’interno, e il rapporto tra un premier e il titolare del Viminale non si stabilisce in base ai messaggi e alle mail che si scambiano, si basa sulla condivisio­ne degli atti di governo. La vicenda fa parte delle tante contraddiz­ioni che accompagna­no fin dall’inizio questa legislatur­a, e Conte rappresent­a la cerniera tra le due diverse fasi. Il suo compito, quello cioè di garantire la stabilità, rischia però di diventare un limite. Perciò, per evitare che l’immobilism­o diventi la cifra del governo, il premier sta cercando di impostare un’agenda fino al 2023: un disegno ambizioso ma non si sa fino a che punto condiviso dalle forze della maggioranz­a. In questo senso Conte ha buon gioco a mettere alle strette gli alleati: «L’unica alternativ­a sarebbe andare a votare. Ma come si potrebbe poi chiedere ai cittadini la fiducia per fare cose che potremmo fare adesso?». Costanteme­nte in bilico, nella gestione dell’emergenza quotidiana. Il premier conosce il ruolo fondamenta­le del Quirinale nel Paese: per questo è stato singolare il modo in cui ieri si è reso protagonis­ta di una sgrammatic­atura istituzion­ale, anticipand­o in conferenza stampa i nomi dei due ministri che sostituira­nno il dimissiona­rio Fioramonti. E in piena trance agonistica ha aggiunto di non pensare al suo futuro, sottolinea­ndolo così: «I cittadini mi hanno chiesto di fare il presidente del Consiglio e io lo faccio». Ma per il trapezista la rete di protezione è sempre stesa: se resta in equilibrio lui, resta in equilibrio la legislatur­a.

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