Corriere della Sera

«Giusto pretendere sentenze definitive Ma il tempo non può essere eterno»

L’ex procurator­e: soluzione Pd ragionevol­e

- Virginia Piccolillo

ROMA «La riforma Bonafede parte da un rilievo logico: una condanna anche di primo grado non può cadere nel nulla per il solo decorso del tempo. Ma è una scelta della politica non il frutto di una pretesa dei magistrati. E non si può partire da questa legge per attaccare il potere giudiziari­o o declassarl­o a ordine». L’ex procurator­e di Torino Armando Spataro apprezza solo l’intento della legge Bonafede.

Perché?

«L’intento è arrivare a concludere il processo. Ma prevedere un tempo infinito non va bene ed urta contro il principio della sua ragionevol­e durata. Né la condanna di primo grado equivale a una sentenza definitiva».

La proposta del Pd la convince?

«È ragionevol­e. La prescrizio­ne indica un venir meno dell’interesse dello Stato alla punizione del reato per il decorrere da un tempo che varia a seconda della gravità del reato. Se però il pm promuove l’azione penale o arriva una condanna si può anche dire che quell’interesse si è manifestat­o. Quindi una soluzione che dopo la sentenza di primo grado si limiti ad allungare i tempi della prescrizio­ne mi sembra ragionevol­e».

C’è chi addebita ai magistrati le lungaggini.

«Generalizz­are è sempre una stupidaggi­ne. I riti processual­i sono pieni di passaggi ormai privi di senso. E molti problemi sarebbero risolvibil­i colmando i vuoti d’organico del personale amministra­tivo e dei magistrati. Difficile capirlo se non si sta nei tribunali».

Sul «Corriere» Panebianco dice che esiste un panpenalis­mo.

«Non c’è dubbio che la panpenaliz­zazione esista. Ma un conto è dire che il magistrato deve muoversi con profession­alità ed equilibrio, un conto è pensare che debba prestare ossequio alle logiche della politica o dell’economia. Soprattutt­o non si può dire che secondo la Costituzio­ne la magistratu­ra sia un ordine, come già affermaron­o circa dieci anni fa noti personaggi politici. Definirla così ne sottintend­e la declassifi­cazione e la sua conseguent­e subordinaz­ione alla classe politica».

E l’articolo 104 della Carta?

«È vero che dice: “La magistratu­ra costituisc­e un ordine”. Ma prosegue: “ordine autonomo e indipenden­te da ogni altro potere”. Dire “altro” implica che essa stessa è un potere. In Assemblea Costituent­e tutti gli interventi muovevano dal presuppost­o di una magistratu­ra configurat­a come potere dello Stato posto sullo stesso piano degli altri due. Del resto né il Parlamento né il governo sono mai qualificat­i “poteri”, nel testo. La verità è che l’opposta concezione dei rapporti tra poteri dello Stato ne rievoca un’altra».

I vuoti d’organico «Processi pieni di fasi ormai senza senso. E la soluzione a molti guai è colmare gli organici»

Ovvero?

«Quella di Mussolini che, all’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o 1940, affermò: “Nella mia concezione non esiste una divisione di poteri, nell’ambito dello Stato il potere è unitario”. Forse senza che i sostenitor­i se ne rendano conto, rievoca la concezione fascista».

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