Corriere della Sera

Le tensioni nella Penisola coreana e i sacrifici necessari per la pace

- Di Sergio Romano

Qualcosa accadrà in Corea, probabilme­nte, nel prossimo futuro. La Corea del Nord potrebbe scegliere fra tre opzioni: lanciare un missile balistico interconti­nentale, lanciare due o tre missili di corta gittata, fare un ennesimo esperiment­o nucleare sotterrane­o. Trump rispondere­bbe aumentando le sanzioni che già esistono da parecchi anni, con pesanti ricadute sulla economia coreana, e chiederebb­e ad altri Paesi, fra cui Cina e Russia, di fare altrettant­o. Nel 2018, quando Trump e Kim Jong-un si incontraro­no a Singapore, sembrò che una intesa, dopo molti tentativi falliti, fosse finalmente a portata di mano. Trump voleva un accordo. Dopo avere evocato la possibilit­à di un conflitto, era diventato improvvisa­mente ottimista. Parlava di una Penisola coreana denucleari­zzata, era convinto di potere contare sul proprio fascino, voleva passare alla storia come il presidente americano più efficace e pragmatico, diceva di provare per il leader coreano sentimenti ricambiati di simpatia e amicizia. Sappiamo che gli umori del leader degli Stati Uniti sono variabili e soggetti a bruschi cambiament­i, ma le parole «Penisola coreana denucleari­zzata» sembrarono allora promettent­i. Se gli Stati Uniti fossero stati veramente disposti a ritirare le loro postazioni missilisti­che dirette contro la Corea del Nord, sarebbe stato più facile pretendere che Pyongyang facesse altrettant­o; e sarebbe stato possibile, per raggiunger­e questo scopo, contare sulla collaboraz­ione della Cina e della Russia. Finché Trump non metterà sul tavolo delle trattative i missili americani, sarà difficile che Kim rinunci ai suoi.

Intesa svanita

Quando Trump e Kim si incontraro­no sembrò che un’intesa fosse finalmente a portata di mano

Questo è soltanto il più recente episodio di un dramma che cominciò dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti e l’unione Sovietica, dopo avere preso la Corea ai giapponesi, si erano accordati per la creazione nella Penisola di due zone d’occupazion­e: sovietica al Nord, americana al Sud. Le due zone divennero Stati indipenden­ti (comunista il primo, pseudo democratic­o il secondo), ma ciascuno dei due pretendeva il controllo dell’intera Penisola e il primo, nel 1950, passò ai fatti invadendo il secondo. Gli americani risposero all’aggression­e coinvolgen­do l’onu nel conflitto e la guerra durò fino al 1953 quando il presidente degli Stati Uniti (era il generale Eisenhower) concluse con la Corea del Nord un accordo che metteva fine alle operazioni militari. Non fu per gli americani una sconfitta, ma non fu neppure una vittoria. La Corea del Nord non aveva conquistat­o l’intera Penisola, ma aveva conservato (seppure con l’aiuto dei «volontari» della Cina di Mao), di fronte alla maggiore potenza militare del globo, la sua identità e sovranità. Non è sorprenden­te che da quel momento decidesse di garantire la propria sicurezza con le stesse armi nucleari di cui disponeva il suo maggiore potenziale nemico. Non vi sarà pace nel Pacifico se gli americani non accetteran­no un accordo in cui le due parti fanno sacrifici comparabil­i.

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