«Jessica è stata picchiata e gettata viva in acqua» Il papà: ora giustizia
La perizia sul corpo della 37enne. In due sotto accusa
Si chiamava Jessica e aveva 37 anni. La mattina che la trovarono, ormai senza vita, galleggiava in una vasca di scolo della centrale idroelettrica Dkw di Prevalle, vicino Brescia. È stato sei mesi fa, il 13 giugno. Un giallo, si disse all’inizio. Un rebus che suggeriva l’ipotesi dell’incidente o del suicidio.
Sembrava una di quelle storie che lasciano tracce soltanto nella memoria di chi conosceva o voleva bene alla vittima. E invece no. Il finale della vita di Jessica Mantovani è ancora tutto da scrivere. Lo avevano già capito gli inquirenti, mettendo assieme i tasselli di un puzzle che non componeva mai nessuna figura convincente. Lo conferma ora una consulenza medica voluta dalla famiglia di Jessica.
«La frattura del naso, la lacerazione delle labbra sono state provocate da percosse; analoga spiegazione può avere la frattura delle costole» è la conclusione anticipata da Il Giornale di Brescia. Il professor Andrea Gentilomo nella
Veronique tornava a casa dopo una serata con gli amici ed è finita, non si sa come, sotto un treno. Un tragico incidente, un attraversamento imprudente dei binari: questo era lo scenario ipotizzato finora. O almeno: questo era trapelato dall’inchiesta aperta sul caso. Ma la Squadra mobile di Genova ha deciso di non accontentarsi delle apparenze e il risultato è la svolta emersa in queste ultime ore, e cioè un’indagine aperta dalla procura per omicidio volontario (contro ignoti) con un punto di partenza preciso: Veronique aveva litigato con una ragazza per un ragazzo conteso.
Ecco. Forse è proprio in quel litigio l’origine della sua morte, la notte fra il 20 e il 21 settembre scorso. E gli investigatori arrivano a ipotizzare che qualcuno l’abbia spinta sotto quel treno. Veronique Garella aveva 29 anni e nella vita faceva la barista, a Chiavari, dove viveva con i genitori. Quella sera di settembre il treno l’aveva travolta nella stazione sua relazione conferma l’esito dell’autopsia, e cioè che l’ipotesi più ragionevole per la morte di Jessica sia l’omicidio e non l’incidente o il suicidio. Anche perché le analisi mediche dicono che non è morta per annegamento e che le ferite sul suo corpo non furono opera delle griglie della vasca di scolo.
«Il quadro lesivo di natura contusiva — spiega il consulente — è compatibile con l’impiego di mezzi di offesa naturali come calci e pugni». E tutto questo non fa che accumulare nuovi indizi nel fascicolo aperto dalla procura di Brescia. Nuovi punti di accusa per i due indagati di questa storia, in particolare per Giancarlo Bresciani, 51 anni, senza un lavoro e con molti problemi di droga. Lui fu l’ultimo a vedere Jessica viva la sera del 12 giugno. Lei era an
● Aveva naso fratturato, labbra spaccate dalle percosse e costole fratturate: l’esito dell’autopsia esclude il suicidio, parla di omicidio
● Sono indagati a piede libero Giancarlo Bresciani, 51 anni, senza lavoro e con problemi di droga, l’ultimo a vedere Jessica viva la sera del 12 giugno, e Marco Zocca, 23 anni, amico di Bresciani
● Secondo l’indagine la ragazza avrebbe passato la serata in un locale dove era arrivata con un’amica. La stessa che ha poi rivelato agli inquirenti dettagli su una lite tra Veronique e un’altra ragazza per un ragazzo conteso data a casa sua nel pomeriggio, alle otto e mezzo di sera aveva chiamato suo padre Giovanni: «Vienimi a prendere subito». Ma un’ora dopo quando Giovanni la cercò proprio per andare a prenderla, si sentì dire da quell’uomo che «Jessica è uscita da casa mia mezz’ora fa».
I carabinieri hanno raccolto dati, passato al setaccio contatti telefonici, ricostruito episodi. E si sono convinti che ci siamo molte, troppe cose che non tornano in quel «è uscita mezz’ora fa». È finito sott’accusa anche un’amico di Bresciani, Marco Zocca, che ha 23 anni, abita vicino a casa sua e, soprattutto, è l’unico al quale l’amico di Jessica chiedeva sempre aiuto quando aveva bisogno di un’auto perché lui non ne ha una sua.
«Me l’hanno uccisa, spero che almeno possa avere giustizia» si dispera il padre di Jessica ogni volta che emerge un nuovo dettaglio d’inchiesta. Quella figlia perduta aveva seguito strade sbagliate, si era lasciata sopraffare dalla droga e portava a spasso ogni santo giorno il dolore più grande: un figlio allontanato da lei e dalla sua esistenza complicata. Aveva dovuto lasciarlo andare (il bimbo ha dieci anni e vive con il padre) e non se l’era mai perdonato. Chissà se il suo ultimo giorno di vita lo aveva visto giocare, ridere, passeggiare... Lo guardava da lontano, di nascosto. Con gli occhi di una mamma. nel litigio fra le due e Veronique avrebbe avuto la peggio in un crescendo di insulti, strattoni e botte. Alla fine, visibilmente arrabbiata, ha scelto di abbandonare la compagnia e tornare a casa. Da sola. Si è incamminata in direzione della stazione per raggiungere l’aurelia.
Da qui in poi siamo nel campo delle ipotesi. Qualcuno l’ha seguita e lei è finita sotto il treno fuggendo? Oppure è stata davvero spinta sui binari mentre stava per arrivare il treno? E cos’hanno a che fare i ragazzi della lite con tutto questo? I dettagli conosciuti sono pochissimi, si sa soltanto che nei giorni scorsi sono stati sentiti come testimoni alcune delle persone che avevano passato con lei la serata e che in questa inchiesta per ora non ci sono indagati. C’è però il deposito di una relazione preliminare del medico legale, Luca Vallegra, che punta i riflettori su alcune lesioni ritenute «sospette», e cioè alcuni segni sulle braccia della ragazza. Altri elementi utili alle indagini potrebbero arrivare dal contenuto del telefonino di Veronique, recuperato anche se il cellulare è andato distrutto nell’impatto. Gli inquirenti sanno che non sarà facile dimostrare l’eventuale spinta sotto il treno, ma non vogliono lasciare nulla di intentato per capire se questa sia, oppure no, la storia di una distrazione.