Corriere della Sera

Garlasco e il Dna «rubato» L’indagato scagionato contro i detective di Stasi

Ma per i pm era diritto della difesa venirne in possesso

- Di Luigi Ferrarella (Milani, Ansa) lferrarell­a@corriere.it

I fatti

● Il 13 agosto 2007 Chiara Poggi — ai tempi 26enne — viene uccisa nella sua casa a Garlasco, in provincia di Pavia

● Dopo un lungo iter processual­e il 12 dicembre 2015 la Corte di Cassazione riconobbe come colpevole del delitto il fidanzato della vittima, Alberto Stasi — oggi 35enne — condannato a 16 anni di carcere

MILANO Chi beve un caffè al bar o si soffia il naso per strada e getta il fazzoletto di carta nel cestino, è meglio si porti via la tazzina o tenga per sé i propri rifiuti: un paradosso ma nemmeno troppo, visto che altrimenti — stando alla motivazion­e con la quale la Procura di Milano chiede di archiviare una inedita coda del giallo di Garlasco — gli potrebbe capitare di essere catapultat­o (come indagato) dentro un procedimen­to penale da qualcuno che ritenga di esercitare il proprio diritto di difesa carpendogl­i il Dna anche senza consenso e persino a sua insaputa.

Nel 2015 Alberto Stasi viene condannato in via definitiva a 16 anni per l’assassinio, il 13 agosto 2007, della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco. Ma a fine 2016 sue indagini difensive lo ritengono scagionabi­le dall’asserita corrispond­enza tra il materiale genetico sotto le unghie di Chiara e il Dna di un amico del fratello, Andrea Sempio. In tutti i processi quel Dna sotto le unghie era risultato inidoneo a qualunque comparazio­ne, inoltre l’assassino calzava il 42 mentre Sempio ha il 44: i magistrati di Pavia comunque indagano in lungo e in largo su

Sempio alla luce delle novità proposte dal difensore Angelo Giarda, e alla fine nel 2017 nell’archiviare Sempio sono trancianti sulla sua estraneità al delitto e sulla «inconsiste­nza» della tesi di Stasi «totalmente priva di valore scientific­o». Fin qui la storia nota. Che ora si scopre non finita.

L’incolpevol­e additato presenta un esposto ritenendo violata la sua sfera più sensibile, il Dna: il procurator­e aggiunto Fabio De Pasquale lascia il fascicolo a ignoti e chiede direttamen­te l’archiviazi­one, ma la gip Elisabetta Meyer non la accoglie e anzi gli ordina iscrivere nel registro degli indagati i detective della «Skp Investigaz­ioni srl» e l’allora avvocato di Stasi. De Pasquale a quel punto lo fa, ma prima di Natale chiede per la seconda volta l’archiviazi­one, con due motivi interessan­ti per le implicazio­ni generali che avrebbero.

Il primo è che la procedura, «anche se eseguita senza il consenso» di Sempio e «a sua insaputa», sarebbe stata «non invasiva e non lesiva della sua integrità personale» perché il materiale biologico (asseritame­nte appartenen­tegli) sarebbe stato recuperato dall’investigat­ore privato di Stasi su «la tazzina di caffè e il cucchiaino presso il bar dove erano stati lasciati da Sempio, mentre la bottigliet­ta di plastica veniva recuperata da un sacchetto di rifiuti gettati da Sempio in un cassonetto dell’ipermercat­o»: quindi, per il pm, era «già separato» da Sempio e «lontano dalla sua disponibil­ità, senza alcuna modalità coattiva, né con violenza, né contro la sua volontà, senza incidenza sulla sua sfera di libertà».

I volti

Chiara Poggi, uccisa a 26 anni; di fianco quello che ai tempi era il suo ragazzo, Alberto Stasi, 35 anni

Il secondo motivo del pm è che i detective di Stasi avrebbero trattato i dati genetici di Sempio «per le sole finalità connesse all’investigaz­ione difensiva» (il tentativo di revisione della condanna di Stasi) «e per il tempo strettamen­te necessario»: diritto di difesa «quantomeno di rango equivalent­e alla tutela della privacy di Sempio», e che rientrereb­be nel Codice della Privacy senza bisogno di previa autorizzaz­ione dell’autorità giudiziari­a alla luce di un provvedime­nto del Garante in vigore dal 30 dicembre 2014 al 15 dicembre 2016 (quando ne è intervenut­o un altro).

Ora sull’archiviazi­one — alla quale si oppone il legale di Sempio, Massimo Lovati, anche per l’assenza di garanzie su chi-dove-come abbia prelevato e conservato e esaminato i reperti — deciderà il gip. Nel corso della verifica di queste notizie il Corriere ha peraltro provato a fare una di quelle richieste di «accesso agli atti» di recente contemplat­e in pubblico a parole dal procurator­e Francesco Greco, ma la risposta è stata un rigetto per asserita «mancanza di rilevante interesse pubblico»: evidenteme­nte non ravvisato nel tema del delicato equilibrio tra diritto di qualcuno a difendersi in giudizio anche con indagini difensive, e diritto alla tutela dell’altrui privacy nel trattament­o di dati genetici di persone non consenzien­ti o inconsapev­oli, se da essi derivino il coinvolgim­ento in indagini e quindi conseguenz­e su libertà e reputazion­e.

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