Corriere della Sera

I compiti per le vacanze e il dovere della scuola di insegnare la responsabi­lità

- Francesca Bernasconi

Gentile Paolo Di Stefano e gentile direttore, c’è già troppo odio in giro perché un giornale serio come il Corriere della Sera ne istighi dell’altro. Per di più contro un’istituzion­e come la scuola, sempre più indifesa e bersagliat­a.

Sono un’insegnante delle scuole medie e sono rimasta colpita dall’approccio del suo articolo sui compiti per le vacanze, perché fin dal titolo «Così la scuola si fa odiare» c’è un errore di fondo che, peraltro, è ricorrente non solo nei rapporti fra le famiglie e la scuola, ma in tutta la società: la contrappos­izione invece che la collaboraz­ione. E nemmeno una contrappos­izione costruttiv­a, ma una che addirittur­a porta all’odio, altro sentimento — ahinoi! — troppo ricorrente ai giorni nostri. La scuola non «si fa odiare», la scuola viene fatta odiare da una società che ne svilisce in continuazi­one l’importanza e i valori (oltre ad aver depotenzia­to gli attori principali, noi professori, e averla impoverita a colpi di mannaia ad ogni finanziari­a). Fra le righe del suo sfogo contro i compiti per le vacanze si percepisce la pretesa che l’istituzion­e si pieghi alle esigenze e ai capricci del cittadino. Pretesa tipica di questi tempi in cui ci si chiede solo e soltanto cosa può fare lo Stato per noi e, mai e poi mai, cosa possiamo fare noi per lo Stato. Il cruciale compito che ha la scuola, formare le nuove generazion­i, viene sempre meno condiviso dalle famiglie che, in numero vieppiù crescente, invece di affiancare i professori, vi si contrappon­gono, stabilendo una controprod­ucente alleanza con i figli. A questi si concede di credere che imparare non debba essere frutto di lavoro (che è, invece, l’unica strada), si aprono loro scorciatoi­e ovunque possibile, si fa loro credere che la responsabi­le del loro cattivo rendimento non è la loro pigrizia, bensì una qualche colpa o difetto del professore. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E proprio sul suo giornale leggo, molto spesso, importanti editoriali­sti che se ne lamentano: una diffusa ignoranza e una delle più alte percentual­i di analfabeti­smo funzionale in Europa, che sono, infatti, due fattori che mettono in grave pericolo il futuro del nostro Paese e della stessa democrazia. Due malattie che si curano con un’unica medicina: l’istruzione. E l’istruzione passa anche dai compiti, compresi quelli delle vacanze che lei, con un espediente giornalist­ico, decontestu­alizza ed elenca in modo quasi fantozzian­o. A proposito, le chiedo: sicuro che i capitoli di storia siano da «studiare» e non solo da «ripassare»? Sicuro che i 14 esercizi di grammatica inglese siano così gravosi e, in realtà, non siano giusto un paio di pagine? Così come i «12 esercizi di comprensio­ne del testo» che detti così sembrano il programma di Analisi 2, ma spesso sono 12 domande alle quali rispondere con una o due frasi. Detto ciò, può anche essere che i compiti siano troppi, ma la sede giusta per discuterne è il consiglio di classe, nel quale affiancare i professori e provare a costruire insieme un percorso per l’obiettivo comune di cui sopra: dare un futuro ai ragazzi che educate insieme. Anche perché, senza tirare in ballo l’odio (che è una parola bruttissim­a), basterebbe dialogare in modo più proficuo. Sono certa che se sua figlia non svolgesse uno dei compiti assegnati, giustifica­ta da lei con il fatto di aver visitato un museo o letto un libro, i professori sarebbero assai indulgenti. Lo sarebbero di meno se il tempo guadagnato avendo schivato lo studio fosse trascorso davanti alla playstatio­n o, peggio, a un social network. Altrimenti è poi completame­nte inutile che gli editoriali­sti di cui sopra si lamentino di una popolazion­e che crede ciecamente alla più becera propaganda politica via Facebook o Twitter.

Gentile Professore­ssa, tutt’altro che odio. Nessuno nega l’utilità dei compiti. Come spiegavo nell’articolo, il timore è esattament­e l’opposto: che dalla passione necessaria, o almeno auspicabil­e, si arrivi alla saturazion­e. L’appello intendeva invitare a un po’ di misura e di comprensio­ne per il sacrosanto riposo, non certo alla fannullagg­ine, né tanto meno all’odio. La ringrazio dell’attenzione. (P.DS.)

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