IL NATALE RICCO DI AMAZON E QUELLO POVERO DEI NEGOZIANTI
Caro Aldo, frequentando in questi giorni festivi più del solito la mia bella città di Monza ho notato quanto fossero piene le portinerie di pacchi Amazon e quanto purtroppo siano stati poco pieni i negozi (ricordo le code nei bei negozi della mia città nel periodo di Natale). È vero, è cambiato tutto ma quanta nostalgia! So di negozi che si stanno attrezzando per trasformarsi in magazzini Amazon. Ma mi domando: chi ne beneficia davvero? E non si perde quel contatto vero e di fiducia, umano, che caratterizzava la nostra provincia? Dire che non si ha tempo di girare non è una buona scusa... Raffaella Fossati, Monza
Temo sia solo l’inizio. Sta crescendo una generazione per cui non dico i tradizionali negozi, ma pure i centri commerciali — criticabili finché si vuole, ma che con gli oneri di urbanizzazione hanno salvato per anni i bilanci dei Comuni — sono obsoleti. È il tempo di Amazon, che non a caso annuncia un boom di affari. Forse però non ci rendiamo conto di cosa significa il tramonto del piccolo commercio. È una distruzione del lavoro forse persino più grave di quella causata dalla fine della grande industria. Commercio significa piccoli imprenditori, commessi, grossisti, rappresentanti, trasportatori. Significa anche proprietari di muri che incassano un affitto, Stato e Comuni che incassano imposte. Amazon è un clic, più qualche sparuto lavoratore trattato con durezza. A questo si aggiungono due fattori. Il primo è quello evidenziato da lei, gentile signora Fossati: i negozi — e pure i centri commerciali — sono anche luoghi di ritrovo, dove ci si incontra, dove in qualche modo si sedimentano esperienze ed emozioni, dove si forma una comunità; il commercio elettronico si fa da soli, interagendo con un moloch, la rete. C’è poi la seconda questione, quella fiscale. Le grandi aziende fanno il loro mestiere: se le regole consentono loro di non pagare le tasse, o almeno non in Paesi dalla fiscalità severa (sulla carta) come l’italia, non le pagano. Occorre un minimo di concertazione, almeno all’interno dell’unione europea, se non altro nell’eurozona. Fino a quando le grandi società potranno scegliere Paesi (Irlanda, Olanda, Lussemburgo) dove il diritto societario e il fisco consentono enormi risparmi, a discapito dei cittadini — compresi molti commercianti — che le tasse non possono non pagarle, allora l’euro non sarà una vera moneta comune, ma un mero sistema di cambi fissi.