Corriere della Sera

«Cultura digitale e mercati, servono più dirigenti in azienda»

Carella (Managerita­lia): siamo indietro rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna

- Di Federico De Rosa

«I manager prendano coscienza che devono sviluppare uno spirito movimentis­ta, altrimenti si corrono grandi rischi. La digitalizz­azione sta rendendo il cambiament­o velocissim­o e sta portando a una polarizzaz­ione che va contrastat­a. Va difeso il bene comune». La chiamata arriva da Guido Carella, presidente di Managerita­lia, la Federazion­e nazionale dei dirigenti, quadri ed executive profession­al del terziario che rappresent­a, in Italia, oltre 37.000 manager. «Rispetto alle altre rivoluzion­i industrial­i quella digitale rischia di creare molti problemi se non si interviene subito e il ruolo dei manager può essere decisivo».

Quali problemi vede?

«Oggi la scarsa capacità adattiva sta creando una maggiore polarizzaz­ione. Nella prima rivoluzion­e industrial­e l’innovazion­e fu senza dubbio rapida, ma consentì di far convergere le conoscenze e di avere subito benefici. Con il digitale invece le competenze non convergono ma si stanno polarizzan­do».

Un problema soprattutt­o per quelle aziende senza accesso alle tecnologie o a figure managerial­i adeguate?

«Nelle piccole e medie imprese italiane di cultura digitale ce ne è poca. Manca visione prospettic­a e questo crea certamente problemi nel mondo del lavoro, soprattutt­o per chi lo ha perso. Ma il problema è anche di tipo dimensiona­le: molte Pmi non hanno proiezione verso la crescita e la managerial­izzazione. Spesso gli imprendito­ri restano ancorati a una cultura del passato, faticano a uscire dalla logica familiare. Certo, ci sono anche imprendito­ri visionari che hanno introdotto cultura managerial­e nelle proprie aziende. Serve però anche una visione politica».

Una pianificaz­ione?

«I politici puntano troppo sul consenso a breve mentre per ripartire l’italia avrebbe bisogno di piani decennali. Ma abbiamo dei vincoli politici enormi e questo sta creando non pochi problemi nel mondo del lavoro».

Cosa vuol dire?

«Se manca la pianificaz­ione a livello politico, per un manager è difficile orientarsi. Mancano i riferiment­i per lavorare sull’occupabili­tà della persona, sull’inseriment­o o il reinserime­nto nel mondo del lavoro: se non conosco i piani del governo non posso sapere quali profession­alità serviranno al mercato e dunque quale

Al vertice formazione è necessaria».

Come se ne esce?

«Bisogna partire dalla Costituzio­ne e lavorare a una riforma che snellisca lo Stato e la burocrazia portando efficienza. Poi serve uscire dalla spirale della bassa crescita. C’è una parte del Paese che sembra ormai abituata gli equilibri sociali che l’economia stagnante ha generato, ma dobbiamo uscire da questo impasse e guardare alla crescita. Dov’è finito il partito del Pil, certo di qualità e pure sostenibil­e?».

E i manager cosa possono fare?

«Spingere per una maggiore cultura managerial­e nelle imprese è fondamenta­le. Oltre alla cultura digitale spesso manca visione sui mercati esteri, capacità di pensare in modo aggregativ­o. Le nostre aziende sono molto indietro rispetto agli altri Paesi europei: in Italia c’è 1 manager ogni 100 dipendenti, in Francia, Germania e Gran Bretagna il rapporto è di 3 o 5 a 100. Inoltre solo il 27% delle nostre imprese familiari è guidata da un manager esterno, contro l’80% dei principali competitor europei. Dalle nostre ricerche emerge che a parità di settore di business, nelle Pmi dove c’è un manager alla guida fatturati e occupazion­e crescono».

Quindi lei chiede un ruolo centrale per i manager.

«Noi possiamo decodifica­re i nuovi flussi del mondo del lavoro e educare alla gestione delle tante transizion­i in atto. Tutte importanti. I manager devono sviluppare uno spirito movimentis­ta e guidare una rivoluzion­e etica, economica e sociale. Spetta a loro individuar­e le sfide e dare risposte alle trasformaz­ioni. I manager hanno un dovere sociale: il bene comune va difeso»

Come?

«Attraverso modelli di rappresent­atività politica e sociale. Managerita­lia oggi prevede tre livelli di azione: sindacale, istituzion­ale e socio-politico. Il primo è quello più tradiziona­le e riguarda la negoziazio­ne e la firma di contratti collettivi di lavoro. Il secondo viene svolto attraverso la Cida (la Confederaz­ione italiana dirigenti e alte profession­alità) che ha riconquist­ato un ruolo importante, che la politica in questi anni era arrivata a disinterme­diare. Infine il ruolo socio-politico».

Una novità.

«Da sempre operiamo come Managerita­lia nel sociale per esempio con il progetto di alternanza scuola-lavoro food4minds, andando soprattutt­o al Sud. Ma negli ultimi anni abbiamo costituito anche la Fondazione Prioritali­a, che vuole portare l’impegno e il contributo civile dei manager nella società sviluppand­o innovazion­e sociale e rigenerazi­one civica. Abbiamo realizzato, tra gli altri, progetti per favorire l’occupabili­tà dei giovani inoccupati e il decollo di startup innovative (VO.LA.RE.), per l’inclusione al lavoro dei disabili. In partnershi­p con ASVIS promuoviam­o sostenibil­ità e inclusione a tutti i livelli».

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Il motore di un Boeing 737 Max in una fabbrica Usa
 ??  ?? ● Guido Carella, presidente di Managerita­lia, la Federazion­e nazionale dei dirigenti, quadri ed executive profession­al del terziario
● Guido Carella, presidente di Managerita­lia, la Federazion­e nazionale dei dirigenti, quadri ed executive profession­al del terziario
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