Corriere della Sera

Fondi al M5S, solo il 12% in regola Il fronte dei ribelli sfida le sanzioni

Dopo l’ultimatum più pagamenti. Ma le espulsioni potrebbero allargare il gruppo degli ex

- Alessandro Trocino

ROMA Se si vuole anticipare il prossimo futuro e capire chi uscirà dal Movimento 5 Stelle, un metodo rudimental­e ma indicativo sarà quello di verificare l’elenco dei morosi, nei primi mesi di gennaio. È ovvio che chi si appresta a lasciare la casa natìa (si parla di una decina di deputati a gennaio e altrettant­i più avanti), lo farà con il portafogli­o pieno, senza aver versato balzelli vari a un Movimento nel quale non si riconosce più. Naturalmen­te c’è anche chi vuole far parte a pieno titolo del Movimento ma contesta «il metodo Casaleggio» e i versamenti. Nel pacchetto di mischia ci sarà anche chi ha scommesso sulla fine anticipata della legislatur­a (e sulla relativa fuga con bottino). È possibile che un effetto collateral­e dell’ultimatum — pagare entro il 31 dicembre — sia portare allo scoperto il nucleo di dissenso radicale.

Il sito di riferiment­o è tirendicon­to.it. Qui si trova una messe di dati indicativa, ma non esauriente. Perché chi si è trovato nella lista nera, come Carla Ruocco, contesta il mancato aggiorname­nto del sito. E perché molti stanno pagando in questi giorni. Stando al sito, ci sono tre senatori che non hanno rendiconta­to nulla nel 2019 e ben poco nel 2018: sono Vittoria Bogo Deledda, Alfonso Ciampolill­o (sotto processo per le posizioni sulla xylella) e Luigi Di Marzio (in odore di Misto).

Ci sono ben 14 supermoros­i, ovvero parlamenta­ri che non hanno (ancora) restituito un centesimo nel 2019. Sono 11 deputati e 3 senatori. Tra i primi ci sono Acunzo, Aprile, Cappellani, Dieni, Fioramonti, Frate, Galizia, Grande, Lapia, Romano e Vallascas. Tra gli ultimi, Anastasi, Di Micco e Mario Giarrusso. Seguono molti altri che non hanno rendiconta­to diversi mesi, tra i quali Rachele Silvestri, Andrea Colletti, Yana Ehm, Paolo Lattanzio, Dalida Nesci, Gianluca Vacca. Ma sono dati parziali e in aggiorname­nto.

Federica Dieni, per esempio, sta rendiconta­ndo tutto in questi giorni. I più solerti sono 39: a ora, secondo questi dati, sarebbe in regola solo il 12 per cento dei parlamenta­ri.

Il meccanismo è farraginos­o. Lo stipendio di un deputato è composto da più voci: 5.000 mila nette, più 3.600 euro (per collaborat­ori ed eventi) e 3.600 euro per affitti e diaria (decurtati in caso di assenze). Per il Movimento al deputato bastano 3.000 euro per vivere. Il resto va speso o restituito. Il minimo da ridare è di 2000 euro al mese. La gestione di scontrini e spese fa impazzire molti e arrabbiare altri. Anche perché a questi versamenti si aggiungono i 300 mensili per Rousseau e quelli «volontari», a partire da 1500 euro per Italia 5 Stelle. E chi non paga? L’«audit» M5S minaccia maximulte, ma sono di dubbia legalità.

Quanto alle espulsioni, il sistema sanzionato­rio dei 5 Stelle è ancora più farraginos­o. La laica inquisizio­ne del Movimento prevede tre probiviri, al lavoro sulle segnalazio­ni. L’ultima traccia pubblica è stata data a giugno, quando si parlava di 109 procedimen­ti aperti. Nessuna news da allora. La prescrizio­ne, per i processi interni M5S, è abolita. E c’è chi, come Elena Fattori, è restata sospesa sul burrone per mesi. E chi, come Giulia Sarti, lo è ancora. Nessuna forma di trasparenz­a, nessun sito, nessuna notizia su chi sia sotto processo e perché.

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La deputata Yana Chiara Ehm, nel 2016, festeggia il master conseguito alla St. Andrews University
In Scozia La deputata Yana Chiara Ehm, nel 2016, festeggia il master conseguito alla St. Andrews University

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