NON SOLO L’ISIS CI SIAMO TUTTI SENTITI BERSAGLI
Correva l’anno 2011. I Navy Seal americani uccidono Osama bin Laden. Finisce la lunga caccia, si spera — tra scetticismo e cautele — nell’inizio di una nuova stagione. Invece dal timore del «terrorismo» passiamo all’angoscia dei «terrorismi». Sì, al plurale. Perché nell’arena si sono affacciati vecchi e nuovi militanti accomunati dalla voglia di distruggere.
Al Qaeda è rimasta, ma la sua bandiera è stata offuscata da quella ancora più nera del Califfato. Il movimento ha messo insieme terrore classico, guerriglia, e violenza «facile». Coltelli, pugnali, un mezzo sulla folla, come a Nizza, Berlino, Stoccolma. Pochi, anche se gravi gli attacchi, organizzati. Però sono bastati a spargere insicurezza, paura. Tutti ci siamo sentiti dei bersagli. Una forma di lotta semplice quanto attraente per migliaia di volontari. Non solo. Il Califfo, usando l’islam, ha dato una motivazione anche a degli instabili, felici di passare per mujaheddin anche se la molla principale erano ragioni individuali. Profili che troviamo in una minaccia tornata all’offensiva: quella xenofoba e anti-semita. Ha colpito dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, è in crescita in Europa. Ha cavalcato il problema dell’immigrazione incontrollata, ha usato come giustificazione la rabbia di cittadini normali, ha creato un network internazionale. Ci sono evidenti punti di contatto con il pericolo jihadista: molto spesso agiscono individualmente, li chiamiamo lupi solitari, tuttavia sono parte di un branco e di un disegno condiviso. L’aspetto inquietante è che il modus operandi dei «professionisti» è stato adottato dagli stragisti senza causa politica, quelli che sbrigativamente sono definiti «folli». I terroristi personali. Uno dei massacri più devastanti è stato provocato da Stephen Paddock a Las Vegas, 59 i morti. Un giocatore accanito diventato cecchino implacabile. Ad oggi non sappiamo il perché dell’attacco. Altri se la sono presa con le donne — un estremismo misogino armato — oppure con i compagni di scuola. Le tattiche sono identiche.
E a chiudere le organizzazioni criminali, non di rado transnazionali. Brasile, Messico, Centro America, alcune regioni dell’africa sono marcate da formazioni di trafficanti che operano come terroristi. Insolenti e sfrontate, prosperate grazie a collusioni politiche e per questo capaci di uccidere giornalisti, giudici, testimoni scomodi. Un fronte sempre più ampio che ha allungato le difese degli Stati.
Anche gli stragisti senza causa hanno adottato le tecniche dei professionisti