Corriere della Sera

Sfida su Reddito e Quota 100

Scontro anche sulla prescrizio­ne. Fioramonti lascia il Movimento. Bettini: sì a una lista del premier Il Pd: «Vanno rivisti». Di Maio: «Mai». Gelo dei Cinque Stelle su Conte

- Di Nando Pagnoncell­i

Sono Reddito di cittadinan­za e Quota 100; prescrizio­ne; concession­i autostrada­li; Alitalia e Ilva i terreni di scontro nella maggioranz­a in vista della ripresa dell’attività di governo con il vertice programmat­o per il prossimo 7 gennaio. Il Pd chiede che Reddito e pensioni vadano rivisti. «Mai» replica secco il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Intanto l’ex ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti lascia il Movimento Cinque Stelle. Anche i renziani mettono in guardia il governo: sulla giustizia rischia. Sulla prescrizio­ne i toni si inasprisco­no con l’avvicinars­i del vertice del 7 gennaio.

Nel 2019 cala il gradimento di tutti i protagonis­ti, tranne Meloni Salvini sfiorava il 60% all’inizio dell’anno e ora si ferma al 38 Di Maio «dimezzato», Zingaretti lontano dalla fase delle primarie Il primato di Conte con il 47%, ma anche lui è in discesa

Per la politica il 2019 è stato un anno turbolento, segnato dal cambio di governo, con la nascita di un’inedita maggioranz­a e la ristruttur­azione di gran parte dello scenario abituale. Il Pd che con le primarie di marzo chiude l’epoca renziana; il conseguent­e ridefinirs­i dell’area liberal democratic­a, riformista moderata, o comunque la si chiami, che appare sempre più affollata, tra cui Italia viva dopo la scissione con la sua nuova formazione e Carlo Calenda con Azione; il centrodest­ra che ristruttur­a i propri riferiment­i con Salvini che approda definitiva­mente al partito nazionale, Forza Italia in netta difficoltà, Fratelli d’italia in crescita e infine la crisi di posizionam­ento politico e sociale dei 5 Stelle.

Vale quindi la pena di riassumere l’andamento nel corso dell’anno dei principali indicatori politici. Cominciamo dalle intenzioni di voto. La Lega segnala un piccolo ridimensio­namento del proprio consenso: dal 34% delle Europee arriva al 36% di fine luglio, dominato dal blocco delle navi che portano i migranti, scende di 4 punti ad agosto, dopo l’apertura di una crisi che molti italiani non hanno compreso, si attesta a chiusura d’anno ad un pur ragguardev­ole 32%. Pur rimanendo la principale forza del Paese, non riesce quindi la chiamata alle armi degli elettori («I pieni poteri»), il cui successo era strettamen­te collegato all’ipotesi di elezioni anticipate, non andata in porto.

Il Movimento 5 Stelle (17,7%) si colloca sostanzial­mente al livello registrato alle Europee, poco più della metà del consenso ottenuto alle Politiche. Solo immediatam­ente dopo la costituzio­ne del governo con il Partito democratic­o, tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, ottiene risultati apprezzabi­li, presto rientrati. Il Pd, che sino a settembre si era tenuto all’incirca sui livelli delle elezioni europee, perde oltre 4 punti e si colloca al 18% circa dei voti validi. La scissione renziana, come abbiamo visto dai flussi presentati prima di Natale, produce una fuoriuscit­a certamente significat­iva, ma non lo svuotament­o nello stile di Emmanuel Macron con il Partito socialista francese. Infine Fratelli d’italia, stimata sopra il 10%, oltre 4 punti in più rispetto alle Europee. È una formazione che ottiene successi capitalizz­ando soprattutt­o i malumori degli elettori dei due alleati, ma capace anche di mobilitare elettori provenient­i dall’incertezza o dall’astensione.

I leader vedono andamenti simili a quelli dei partiti. Salvini, che aveva un indice vicino al 60 nella primavera, scende dopo la crisi al 42 e successiva­mente arretra al 3738. Sembra quindi che, anche le polemiche recenti intorno al Mes, che hanno visto toni forti, non abbiano prodotto risultati di rilievo per il segretario della Lega. Di Maio arriva a chiusura d’anno ai minimi storici: indice di 21, più che dimezzato rispetto agli inizi

dell’anno. Il leader incarna la crisi del Movimento e della sua proposta politica, che non riesce a soddisfare gli elettori di riferiment­o. È indubbiame­nte molto difficile per una realtà complessa e variegata, in cui convergono provenienz­e politiche spesso distanti tra loro. Ma è evidente che una scelta si impone, poiché il rischio è la consunzion­e dell’esperienza pentastell­ata. E le divisioni interne non favoriscon­o il leader.

Zingaretti si colloca intorno al 25, con un calo dell’appeal registrato immediatam­ente dopo le primarie. Il suo posizionam­ento non personalis­tico è problemati­co in un momento in cui sono proprio i leader gli interlocut­ori quasi unici degli elettori. Dall’altro lato il processo di ricostituz­ione del campo del centrosini­stra non sembra avviato, visto anche l’impegno che governare impone. Giorgia Meloni compete ex aequo con Salvini, ora è al 36%. È l’unico leader che dà segnali di crescita, consolidan­dosi nella sua area. Agli ultimi posti Berlusconi

e Renzi. L’uno che non riesce più ad avere un ruolo centrale e che vede la propria formazione progressiv­amente dividersi su ipotesi politiche non convergent­i, l’altro che non è riuscito, nonostante la scissione e la ripresa di presenza mediatica, a risalire la china del dopo referendum e, anzi, segnala ulteriori piccole contrazion­i dovute alla vicenda Open.

Infine il governo: l’esecutivo gialloross­o si stabilizza intorno al 44, dieci punti sotto il gialloverd­e, che godeva anche di un consenso elettorale più importante. Il presidente del Consiglio Conte, che nell’immediato dopo crisi aveva mantenuto livelli di apprezzame­nto maggiorita­ri, oggi se ne colloca poco al di sotto, con un indice del 47. La gestione della manovra non ha aiutato. Insomma, non sembra esserci al momento un riferiment­o forte per il Paese. Il centrodest­ra è saldamente in testa ma il suo leader sembra non riuscire nel salto richiesto per essere punto di riferiment­o trasversal­e; il centrosini­stra fatica a trovare un’anima e il centro appare affollato, tuttavia senza forze in espansione. Il governo tiene, ma ancora una volta guardando ai propri elettori e senza grandi entusiasmi. È questa la cifra: gli elettori hanno uno sguardo distaccato, in attesa di un migliorame­nto che però i segnali dell’economia non sembrano preannunci­are.

L’esecutivo gialloross­o si stabilizza intorno al 44%, dieci punti sotto quello gialloverd­e Il governo tiene ma ancora una volta guardando ai propri elettori e senza grandi entusiasmi

Il centrodest­ra è saldamente in testa ma il leghista non riesce a essere un punto di riferiment­o forte Il centrosini­stra fatica a trovare un’anima e il centro è affollato, senza forze in crescita

I partiti

La Lega chiude l’anno con il 32%, Pd e M5S sono intorno al 18% e FDI supera il 10

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Fonte: Ipsos
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