Corriere della Sera

«L’america-mosaico in difficoltà Ma le cause non sono politiche»

Il celebre avvocato: «L’antisemiti­smo è amplificat­o dai social. Trump? Estraneo»

- Di Massimo Gaggi

«L’aumento di violenze ed episodi di intolleran­za antisemita devono preoccupar­ci, ma non dimentichi­amo che stiamo parlando di episodi sporadici: casi isolati che vengono dal basso. A differenza di quanto è avvenuto in passato — una spirale arrivata fino a Hitler — e di quanto sta ricomincia­ndo ad accadere in alcune parti d’europa, in America l’antisemiti­smo rimane un fenomeno bottomup, non top-down: non parte dai vertici politici o da gruppi organizzat­i della società, né gode di coperture significat­ive».

Alan Dershowitz, costituzio­nalista e grande avvocato americano dei diritti civili è scosso dall’attacco col machete di Rockland, ma, dice al Corriere, non si deve eccedere in allarmismo.

Le comunità ebraiche della diaspora hanno sperimenta­to nei secoli forme di antisemiti­smo di varia intensità. L’america, da sempre uno dei luoghi più sicuri per gli ebrei fino a registrare nel 2013 il livello più basso di episodi di intolleran­za e zero vittime, negli ultimi anni ha visto crescere di nuovo attacchi e tensioni razziali: gli ebrei sono stati i principali bersagli, ma non gli unici. È il modello della società multietnic­a americana che non tiene più? Troppe crepe nel melting pot?

«Non amo l’immagine della pentola nella quale tutto si mischia: preferisco quella del mosaico. L’america è un mosaico nel quale ogni comunità vive con la sua cultura, i suoi costumi, praticando liberament­e la sua religione, nel ri

● Alan Dershowitz, 81 anni, costituzio­nalista e avvocato, tra gli altri di Claus von Bulow e O. J. Simpson Potrebbe presto difendere Trump spetto delle altre comunità. È il grande patrimonio degli Stati Uniti: va difeso a tutti i costi. Fin qui ci siamo riusciti abbastanza bene. Ora le cose stanno diventando più difficili».

Perché?

«Parlando di antisemiti­smo credo che i problemi nascano soprattutt­o dalla diffusione delle reti sociali sulle quali circola di tutto senza filtro, comprese incitazion­i all’intolleran­za e alla violenza che possono incendiare le menti più fragili. Ed è molto pericolosa la predicazio­ne di personaggi come Louis Farrakhan, un pastore noto per la sua retorica antisemita».

Lei guarda a sinistra, agli afroameric­ani radicali, ma c’è chi accusa soprattutt­o l’estrema destra della supremazia bianca. Il Ku Klux Klan ha combattuto i neri ma ha sempre detestato anche gli ebrei.

«L’antisemiti­smo della destra radicale lo conosciamo bene da più di un secolo. È una costante della storia americana dall’inizio del Novecento. Oggi si aggiungono due altri fattori: Internet e certe frange della sinistra più dura. Penso alle parlamenta­ri democratic­he soprannomi­nate The Squad. Ilhan Omar, ad esempio, ha fatto discorsi antisemiti. La sinistra radicale deve rendersi conto dei rischi, assumersi le sue responsabi­lità. Parliamo ancora di casi isolati, ma quello che sta avvenendo nei campus universita­ri deve preoccupar­e. Vanno respinti gli estremismi di ogni colore. Destra o sinistra, violenze e discrimina­zioni diventano comunque feroci. Lo abbiamo già visto, su fronti opposti, con Hitler e Stalin».

Vanno respinti gli estremismi di ogni colore. Destra o sinistra, violenze e discrimina­zioni diventano comunque feroci. Lo abbiamo già visto con Hitler e Stalin

Donald Trump è un grande amico di Israele e degli ebrei. Una parte della sua famiglia è ebraica. Ma qualcuno lo critica perché a volte, pur elogiando gli ebrei, parla di loro come di una comunità separata dal resto dell’america. Pare lo abbia fatto anche alla recente festa di Hanukkah alla Casa Bianca. Lei, che è suo amico e magari potrebbe trovarsi a difenderlo tra qualche settimana al processo per l’impeachmen­t, era presente a quella cerimonia...

«Se cerca qualcuno che attribuisc­a qualche responsabi­lità al presidente per l’antisemiti­smo, non chieda a me: Trump non solo è un grande amico della comunità ebraica, ma coi suoi ordini esecutivi sta facendo il possibile per sradicare l’antisemiti­smo. Elogiando l’appartenen­za a una fede o a una comunità non rendi qualcuno meno americano: io sono orgoglioso di essere ebreo, ma mi sento anche americanis­simo».

Insomma, anche in un quadro che si sta deterioran­do, America molto meglio dell’europa, per le minoranze.

«Assolutame­nte sì. In Europa l’antisemiti­smo si sta diffondend­o e, cosa ancora peggiore, si sta strutturan­do: le cose vanno molto male in Germania, Polonia, Scandinavi­a, buona parte della Gran Bretagna e nel sud della Francia. L’unica isola felice è l’italia».

Be’, qualche problema c’è stato anche da noi, come gli attacchi alla senatrice Liliana Segre.

«Lo so, ma sono casi limitati che vengono subito isolati: la reazione è forte, le istituzion­i tengono. È la cosa più importante: educare e non lasciare spazio a posizioni equivoche».

Nel caso di Rockland e di altri episodi di intolleran­za nelle periferie si può parlare anche di tensioni razziali legate a fenomeni economici come la gentrifica­zione, col trasferime­nto delle comunità ortodosse in quartieri più poveri e il conseguent­e impatto locale sul costo della vita?

«No, non parliamo di tensioni razziali. Tensioni è una parola neutra. Parliamo di intolleran­za. E l’intolleran­za non è mai accettabil­e. Né giustifica­bile con argomenti economici».

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Al centro, il rabbino Chaim Rottenberg, a Monsey, nello Stato di New York durante la cerimonia per l’arrivo di un Rotolo della Torah
In nome della fede Al centro, il rabbino Chaim Rottenberg, a Monsey, nello Stato di New York durante la cerimonia per l’arrivo di un Rotolo della Torah
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