LA NUOVA PRESCRIZIONE E I PRINCIPI COSTITUZIONALI
Ci siamo; dal prossimo primo gennaio entrerà in vigore la nuova prescrizione penale.
In realtà, più che di una vera riforma del processo penale, si tratta di modifiche relative alla individuazione del momento iniziale e finale del termine di decorrenza della prescrizione anche se la vera novità è rappresentata dal blocco del decorso della stessa dopo che è divenuta esecutiva la sentenza di primo grado.
Le numerose e autorevoli analisi piuttosto critiche verso il cambiamento, hanno riguardato tanto questioni propriamente tecnico-giuridiche relative, per esempio, allo stravolgimento della sospensione e della interruzione del processo, che le modalità attuative della revisione apparse da subito troppo frettolose essendo state introdotte per effetto di un emendamento in fase di approvazione della legge spazza-corrotti, anziché a seguito di un dibattito di riorganizzazione del complessivo sistema processuale. Ragioni che hanno alimentato la percezione che si sia trattato per lo più di un compromesso politico della maggioranza dell’epoca, interessata a documentare e semmai a magnificare nella campagna elettorale per le allora prossime elezioni europee, i risultati conseguiti. Depone a favore di questa ipotesi il differimento di circa un anno della legge ( del 09.01.2019) che infatti è stato motivato dalla necessità di approvare, nel frattempo, degli interventi legislativi per riordinare il processo penale nel suo insieme. Cosa che non è avvenuta.
Ora, premesso che non è più tollerabile la lentezza della giustizia penale italiana i cui processi, solo per parlare del primo grado, hanno una durata dai 500 ai 700 giorni circa, di gran lunga maggiore ai 138 della media europea, il punto è stabilire se la riforma costituisca effettivamente un rimedio oppure il rischio di un aggravamento della già precaria condizione attuale. Una indagine che non può prescindere dal fatto che la prescrizione del reato è un istituto ben definito in tutti gli Ordinamenti dei Paesi omologhi al nostro. Nel codice di procedura penale francese (art. 6), la prescrizione estingue l’azione pubblica; in quello penale spagnolo (art. 130) l’estinzione riguarda la responsabilità penale mentre in quello tedesco (art. §§ 78 STGB) si estingue la perseguibilità . In Italia, tuttavia, nonostante vi siano già state delle riforme, quella del 2005 (art. 6 L. 251/2005) e, in ultimo, quella del 2017 (L. 103/2017), ancora non si è riusciti a delinearne una chiara identità. Una condizione che, va detto senza indugio , ha favorito la risoluzione di problemi giudiziari anche di importanti politici e che, soprattutto, ha fomentato un senso di impunità per i potenti e sbilanciato il dibattito a favore della politica giudiziaria anziché verso quella di politica criminale. Ciò nonostante perseveriamo nell’errore, come dimostra la discussione di questi giorni incentrata sulla contrapposizione tra coloro che invocano l’attuazione della riforma, per evitare possa esservi impunità per i responsabili dei reati , e quelli che la osteggiano paventando un allungamento ulteriore dei tempi della giustizia.
Ma il nucleo centrale della questione è un altro , ovvero stabilire se sia giusto ( termine dal quale deriva quello di giustizia) , sotto un profilo culturale, etico, sociale oltre che giuridico ovviamente, perseguire e punire i ritenuti responsabili di un reato, dopo che sia trascorso un considerevole lasso di tempo dalla sua commissione. Ad una valutazione scevra da pregiudizialità politica e di interessi personali, la risposta non è difficile essendo insita nel patrimonio di civiltà e di conoscenze che non senza grandi sacrifici abbiamo conseguito . Pur volendo trascurare le pur non secondarie questioni che i termini di prescrizione normalmente sono alquanto lunghi e che sono già previsti numerosi casi di sospensione del processo e di imprescrittibilità di alcuni reati particolarmente gravi, è chiaro che il blocco della decorrenza dei termini prescrizionali viola non soltanto importanti principi costituzionali di libertà, per tutti quello della ragionevole durata del processo, cristallizzato nella Costituzione (art. 111) e nella Corte Europea dei Diritti dell’uomo (art. 6), ma anche quello della prevenzione e della riabilitazione. Funzioni cardini del nostro sistema giudiziario che possono essere espletate soltanto se tempestive e non certamente tenendo sotto scacco per sempre coloro che hanno commesso un reato.
La disfunzione del sistema della giustizia penale, della cui gravità non è dato di dubitare , si risolve in primo luogo attraverso una migliore organizzazione gestionale degli uffici giudiziari. Con un maggiore investimento in organico e soprattutto alleggerendo il contenzioso penale con seri interventi di depenalizzazione, posto che l’esperienza di questi anni insegna che l’inasprimento delle pene e l’introduzione di nuove fattispecie di reati non hanno contribuito a ridurre l’attività criminale.