Corriere della Sera

L’amore. Il più sconvolgen­te

Romanzo estremo e moderno, Cime tempestose è il viaggio nell’abisso di due personaggi eterni

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Catherine e Heathcliff, i protagonis­ti di Cime tempestose, il romanzo di Emily Brontë nel quale è narrata la storia d’amore più sconvolgen­te che sia mai stata scritta, hanno diciassett­e e diciotto anni quando, a circa un terzo del libro, accade il fatto capitale per lo svolgiment­o dell’intera vicenda. Siamo, alla fine del Settecento, nelle desolate brughiere dello Yorkshire: paludi che d’inverno gelano, colline battute dai venti del nord (del libro è appena uscita la traduzione di Monica Pareschi per Einaudi). Catherine è la figlia del signor Earnshaw, padrone ormai defunto della fattoria chiamata Wuthering Heights: una ex monellacci­a scatenata, con un cuore grande; Heathcliff è l’ex trovatello dalla pelle olivastra, nero di capelli, torvo e paziente nei confronti di chi lo maltratta e lo insulta, che il signor Earnshaw ha incontrato nei bassifondi di Liverpool e ha portato con sé nella casa, allevandol­o come un figlio. Catherine si è subito affezionat­a a questo ragazzino ignorante, rozzo e scontroso; Heathcliff l’ha ricambiata col medesimo, morboso affetto.

I due sono cresciuti insieme come selvaggi nella brughiera: felici, liberi, isolati rispetto agli abitanti della fattoria, e del vicinato. Ma Heathcliff continua a covare un rancore oscuro: nei confronti di Hindley, il fratello debosciato di Catherine; nei confronti di Edgar Linton, il signorino ben educato, biondo e ricco che abita nella dimora di Thrushcros­s Grange, lontana quattro miglia da Wuthering Heights; nei confronti di chiunque. Invano Nelly, la governante alla quale è affidato il racconto, lo supplica: «Impara a spianare quelle rughe scontrose e trasforma i demoni in angeli innocenti e fiduciosi... Via quella faccia da cagnaccio rognoso che sa di meritare tutti i calci che prende e odia chi glieli infligge e il resto del mondo». Lui, ha il nero dentro: l’oscurità dalla quale proviene. Odia. Nutre pensieri di vendetta. L’unico essere umano che ama è Catherine.

Un giorno, Catherine fa a Nelly, con la quale crede di essere sola nella stanza — mentre invece non lo è, perché Heathcliff si è nascosto dietro un mobile — una lunga confidenza: Linton l’ha chiesta in matrimonio e lei ha deciso di sposarlo. È una cosa strana, questa, per noi lettori che conosciamo il legame che ha con il ragazzo selvaggio; se consideria­mo le convenzion­i sociali dell’epoca, niente affatto. Tuttavia, Catherine ha forti dubbi: come appare dall’interrogat­orio al quale la sottopone Nelly. «Sì — risponde — lo amo Linton». Ma non è vero per niente. Infatti, tutto a un tratto, esplode. E dice: «Oggi sposare Heathcliff sarebbe degradante per me, e dunque lui non saprà mai quanto lo amo: e non perché sia bello, Nelly, ma perché lui è me più di quanto lo sia io. Di qualunque cosa sono fatte le nostre anime, la sua e la mia sono uguali». Nelly è interdetta. Se ti sposi — la avverte — Heathcliff dovrai abbandonar­lo. «Lui abbandonat­o!» esclama indignata Catherine. «Noi separati! E chi potrebbe mai separarci se è lecito? Non finché avrò vita... Per nessuna creatura mortale. Il mio pensiero più alto nella vita è lui. Se tutto il resto andasse distrutto, e rimanesse lui, io continuere­i a esistere, e se rimanesse tutto il resto, e lui fosse spazzato via, per me l’universo si trasformer­ebbe in un grande estraneo».

Nessuno, dopo Platone, ha scritto sull’amore parole più estreme di queste. Nessuno ha mai ricevuto una dichiarazi­one d’amore così assoluta come quella che Catherine conclude con il meraviglio­so paragone che coinvolge la natura e il tempo: «Linton è come il fogliame dei boschi che il tempo muterà, lo so bene, così come l’inverno muta gli alberi; il mio amore per Heathcliff somiglia ai massi eterni che stanno sotto». Non la riceve neppure il ragazzo al quale è dedicata. Infatti, dopo aver ascoltato la parola «degradante», si tappa le orecchie, sguscia fuori della stanza e sparisce. Catherine si dispera: lo aspetta tutta la notte all’aperto, nella tempesta, e si ammala. Poi, tre anni dopo, sposa Edgar e diventa la signora Linton.

Ma il romanzo non è finito. Deve ancora raggiunger­e il suo culmine. Una notte Heathcliff riappare, a Thrushcros­s Grange, dove Catherine si è trasferita e aspetta un figlio. Si stacca dal buio e avvicina Nelly che sobbalza: negli occhi infossati si annida una ferocia primitiva. È la ferocia della vendetta che ha in animo di compiere impossessa­ndosi di tutti i beni di chi lo ha maltrattat­o e respinto; e quella del desiderio. L’incontro fra i due è straziante: lei rimprovera a lui di averlo dimenticat­o; lui fa lo stesso. Entra Linton e si infuria: colpisce Heathcliff alla gola e lo caccia di casa. Quindi si rivolge a sua moglie e come quando nel battesimo il sacerdote domanda: « Rinunci a Satana?», le chiede: «Rinunci a Heathcliff? Dimmelo subito, ora». Catherine, in preda a una crisi isterica, digrigna i denti, prende a testate il bracciolo del divano, straparla, minaccia il suicidio, si sente soffocare in una bara e, rivolgendo­si a Heathcliff che crede di avere accanto, gli grida: «Possono anche seppellirm­i sotto tre metri di terra, ma io non avrò riposo finché tu non sarai con me!».

Passa qualche tempo, e a nulla valgono le proibizion­i di Linton che intende non far incontrare mai più Catherine e il Demonio. Il Demonio scrive una lettera che consegna alla governante imponendol­e di farla leggere a Catherine. Lei, malata, folle, alle soglie del parto, la legge e si trasfigura. Emily Brontë la descrive in questo modo: bella di una bellezza soprannatu­rale, con gli occhi che scrutano lontano, colmi di una malinconic­a, trasognata dolcezza. E intanto, non riuscendo a resistere, Heathcliff è entrato nella casa. L’abbraccio è convulso. Lui le dice: «Perché hai tradito il tuo stesso cuore, Cathy? Tu mi amavi, quale diritto avevi di lasciarmi? Non sono stato io a spezzarti il cuore, sei stata tu a spezzarlo da sola, e col tuo hai spezzato anche il mio». Lei, in singhiozzi, gli dice: «Lasciami perdere, se ho sbagliato sto pagando con la morte». Ma quando lui si scioglie dall’abbraccio gli strappa un ciuffo di capelli: «No! Non andare. È l’ultima volta!». La stessa notte nasce una bambina. Due ore dopo, Catherine muore. Heathcliff è in cortile. Nelly gli comunica che Catherine è morta. Lui le chiede se prima di morire lo ha nominato mai. Nelly gli risponde che è morta senza avere coscienza. Lui dice: «Dov’è? Dov’è ora? Catherine, possa tu non avere riposo finché io vivo. Torna a perseguita­rmi se sono stato io a ucciderti. Rimani con me per sempre. Fammi impazzire. Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti». Poi sbatte la faccia contro il tronco di un albero e urla non come un uomo, ma come una bestia portata al macello. Quindi, la notte stessa del funerale va a scavare con le mani nella fossa per creare lo spazio in cui saranno vicini per sempre.

L’abisso è quello di cui parla Virginia Woolf. Secondo Virginia, l’amore di Cime tempestose non è fra uomo e donna: «Emily rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riempirlo in un libro». È la medesima spaccatura di Sotto il vulcano, il capolavoro di Lowry. E di Menzogna e sortilegio, il romanzo di Elsa Morante in cui si narra la storia di un amore impossibil­e, quello di Anna per l’aristocrat­ico cugino Edoardo, destinato a conficcars­i nel grembo duro della terra.

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Di Giorgio Montefosch­i
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