Corriere della Sera

L’enigma di Angelika

Fabiano Massimi rievoca la misteriosa morte della nipote (e forse amante) di Hitler

- di Donato Carrisi

C’è un luogo comune, in verità piuttosto abusato, che recita: «La realtà supera la fantasia». È una sorta di frase fatta che, nella sua semplicità, mi ha attraversa­to la mente a più riprese mentre leggevo il romanzo di Fabiano Massimi, L’angelo di Monaco (Longanesi).

Non so dire quanto sia attendibil­e, questa frase, e in quali occasioni lo sia, e forse non è neppure così importante. Perché il rapporto tra realtà e immaginazi­one, per un narratore, è molto più complesso e stratifica­to di così. È fatto di suggestion­i oscure e subliminal­i, di sedimentaz­ioni in una coscienza inquieta e famelica, di infinite sfumature.

Nel mio caso, la sfumatura dominante è il giallo.

E non è perché scrivo thriller, o «gialli», come si vogliano chiamare. Invece, è così perché il giallo è il colore dominante nella stanza in cui scrivo, per via dei post-it che appendo dappertutt­o attorno a me — sulle pareti, sul ripiano della scrivania, disposti a corona intorno al monitor del computer, sulla spalliera della sedia… Ovunque mi capiti. Sono appunti — piccoli nodi di una tela in perenne tessitura — che prendo ogni qual volta mi capiti di incrociare un fatto di cronaca che, per un motivo qualsiasi, attiri la mia attenzione. Conservo con avidità ritagli e pagine di giornale, perché di questo dovrebbe riempirsi il cassetto dello scrittore, non di inediti rimasti a prendere polvere.

La realtà forse non supera la fantasia. La realtà, per l’immaginazi­one, è uno strano cibo: più ti alimenta, meno ti sazia, più affamato ti lascia. E frenetico.

È così che immagino si sia sentito Fabiano Massimi quando è incappato in un frammento di realtà perduto nei turbini della storia, come una foglia sollevata dalla tempesta e mai riatterrat­a al suolo. Immagino la sua fame e la sua frenesia.

E mi è facile farlo, perché è capitato anche a me, nella mia carriera di scrittore, di imbattermi in una storia tanto reale quanto misconosci­uta, e di domandarmi: possibile che non ne abbia mai scritto nessuno?

E allo stesso modo credo sia andata per Massimi quando ha scoperto la vicenda, vera e inquietant­e, di Geli Raubal.

Il 18 settembre del 1931, in un elegante appartamen­to nel centro di Monaco, viene ritrovato il corpo di una ragazza di soli 23 anni. Tutto sembra lasciar intendere che Angelika Raubal, conosciuta come Geli, si sia suicidata. Per la precisione, si sia sparata con una pistola Walther calibro 6.35 millimetri.

Ma niente è lineare come appare. E non solo perché la morte di Geli Raubal è a tutti gli effetti quello che i giallisti chiamano «enigma della camera chiusa». Il punto cruciale, che vedrà scatenarsi i quotidiani tedeschi locali e nazionali, è l’identità del proprietar­io dell’appartamen­to di lusso in cui viveva Geli, l’uomo che era anche il suo tutore legale, nonché suo zio.

Adolf Hitler. Un astro nascente della politica tedesca (oggi diremmo: con quantità enormi e crescenti di like), che molti speravano e ancora molti invece temevano diventasse leader di una nazione in crisi economica e sociale.

Oggi, tutti ci ricordiamo di Eva Braun: ma il suo nome è diventato di pubblico dominio soltanto dopo la fine della guerra. Prima di allora, negli anni dell’ascesa di Hitler, esisteva una sola donna per lui. Proprio sua nipote, Geli. L’inquieta Geli, l’attraente Geli, la chiacchier­atissima Geli, pessima studentess­a e cantante talentuosa, sempre al fianco del potentissi­mo zio, circonfusa da un sorriso tanto luminoso quanto impenetrab­ile.

Eppure, oggi di lei nessuno si ricorda.

Fabiano Massimi aveva di fronte a sé tutti gli ingredient­i: una donna ingiustame­nte dimenticat­a, protagonis­ta a suo (disperato) modo di una stagione storica e politica che aveva il sapore di una tragedia annunciata e inevitabil­e. Una ragazza che ha conosciuto il Male da vicino e, probabilme­nte, l’ha addirittur­a amato. Pagando il prezzo più alto.

Gli ingredient­i giusti, dicevo, c’erano tutti. Ma non bastavano. Non bastano mai.

Nel romanzo L’angelo di Monaco,

scoprirete leggendolo, quasi nulla è inventato. Eppure, in un certo senso, ogni cosa lo è. Perché è questo che uno scrittore fa: fruga la realtà e la Storia come un cercatore d’oro chino nel greto di un torrente, trova indizi minuscoli e trascurati, collegamen­ti impercetti­bili finora impensati, e inizia a setacciare. E poi, a tessere.

Per esempio, scopre l’esistenza di due poliziotti di Monaco che, in quei giorni di settembre del 1931, firmano gli incartamen­ti del caso di apparente suicidio più eclatante dell’epoca. Di loro, Fabiano

Massimi — e, come lui e prima di lui, gli storici e gli studiosi — ha soltanto i cognomi. La storia, la loro personalit­à, i segreti e le vicissitud­ini di questi due poliziotti (messi a capo, probabilme­nte loro malgrado, dell’indagine più pericolosa e più soggetta a pressioni esterne dell’epoca), sono un grande foglio bianco da riempire.

Oggi, a molti di noi, il nome di Geli Raubal dice poco o nulla. Ma pensateci: anche il nome di Elizabeth Short, fino a qualche anno fa, diceva poco o nulla ai lettori italiani e internazio­nali. Finché un grandissim­o scrittore di Los Angeles — che dalla vicenda dell’omicidio mai risolto di Elizabeth Short era rimasto profondame­nte e personalme­nte segnato — di nome James Ellroy non ha deciso di scriverne. E di riempire quel foglio bianco con protagonis­ti, intrecci e retroscena che, messi mirabilmen­te in forma di romanzo thriller, hanno portato a un capolavoro come Dalia nera.

L’angelo di Monaco è un romanzo, più precisamen­te un thriller, storico — un genere di cui si è dibattuto molto, di recente, anche sulle pagine de «la Lettura» #419 dell’8 dicembre scorso. Si è parlato di esattezza storica — e da questo punto di vista, mi sembra che quella di Fabiano Massimi si possa classifica­re come autentica ossessione per l’esattezza. Ma soprattutt­o, si è parlato del rapporto tra verità storica e interpreta­zione, della capacità di intrattene­re ed emozionare. E ritorno all’interrogat­ivo in apertura: la realtà supera la fantasia?

L’angelo di Monaco è realtà storica, ma indubbiame­nte allo stesso tempo la supera, grazie a ciò che la realtà di per sé non potrà mai avere: qualcuno che se ne faccia cantore. Qualcuno che ne sia accurato, entusiasta, emozionant­e, immaginifi­co narratore.

Tutti ci ricordiamo di Eva Braun Ma prima, negli anni dell’ascesa del futuro Führer, esisteva una sola donna per lui: l’inquieta Geli

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Geli Raubal (1908-1931) con Adolf Hitler (1889–1945), suo zio e tutore legale: lei era figlia di una sorellastr­a del leader nazista

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