«Non ho visto Gaia e Camilla Sono devastato»
La lettera del padre regista alle famiglie delle vittime: «Sincera e autentica, ma non si scusa»
«Sono devastato» ha detto ieri Pietro Genovese al gip. Il giovane è agli arresti domiciliari per l’incidente di corso Francia a Roma costato la vita alle due 16enni Gaia e Camilla. Ancora molti punti oscuri, utili oggi gli interrogatori dei due amici in auto con lui.
«Sono devastato da quanto è accaduto» ha detto Pietro Genovese al gip che lo ha interrogato, Bernadette Nicotra.
Jeans e giubbotto scuro, sguardo sperduto, il ventenne figlio del regista Paolo Genovese è sceso dal quinto piano della palazzina del Tribunale scortato dai suoi difensori, gli avvocati Gianluca Tognozzi e il professor Franco Coppi. Tuttavia la «tragedia di tre famiglie» — come è stata ribattezzata dagli avvocati questa storia — ha ancora punti oscuri che potrebbero essere sciolti oggi, quando saranno ascoltati gli altri due passeggeri della Renault Koleos di Genovese, Tommaso Edoardo Fornari Luswerg e Davide Acampora. Il ventenne ha risposto a tutto, partendo dall’impatto: «Non le ho viste, ho solo sentito l’urto» ha detto. Come se Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli si fossero materializzate davanti al Suv impedendo, di fatto, qualunque manovra per evitarle. Genovese si è sforzato di spiegare cosa ha voluto dire tutto questo per lui, come rivive il trauma giorno dopo giorno.
Alla domanda sul tasso di alcol trovato nel suo sangue ha voluto precisare: «Quella sera avevo bevuto due bicchieri, al massimo tre, come tutti». Alla cena, organizzata per festeggiare il rientro dal progetto Erasmus di un amico, erano presenti anche i genitori, quindi si era trattato di un’occasione misurata, non certo di un festino. Non bastasse il ragazzo aveva «un impegno universitario» il giorno dopo. E visto che il giorno dopo era una domenica poteva trattarsi giusto di un impegno sui libri. La velocità? Al ragazzo viene contestato il fatto che l’auto viaggiasse sopra i cinquanta chilometri orari, ma lui sembra certo del contrario: «Il semaforo verde era appena scattato e dunque non avrei potuto raggiungere una velocità superiore ai cinquanta» ha detto. Genovese si descrive come un ragazzo perbene, nulla a che vedere con il ritratto di un ventenne trasgressivo che, in questi giorni, era stato tratteggiato: «Non sono un killer ma un ragazzo la cui vita è stata stravolta», ha cercato di spiegare.
Oggi sarà il suo giorno più lungo: i magistrati Roberto Felici e Nunzia D’elia ascolteranno la ricostruzione degli amici, Fornari Luswerg e Acampora. I quali hanno già anticipato quanto accaduto quando sono stati convocati dagli agenti della polizia municipale dopo l’incidente: il semaforo era verde, subito dopo l’impatto Pietro era in stato di choc.
La loro versione è cruciale anche per un altro motivo, ossia perché potrebbe contribuire a confermare l’aggravante della fuga: «Ero seduto nella parte posteriore impegnato a
Gli amici Oggi saranno sentiti i due amici del giovane: avevano detto che il semaforo era verde
utilizzare il mio cellulare e a un certo momento ho sentito un forte rumore e alzando lo sguardo notavo il cofano della nostra vettura, ho realizzato che era avvenuto un impatto — ha raccontato Fornari Luswerg —. Nell’immediatezza ho urlato di fermare la vettura e ci siamo fermati sulla rampa della tangenziale in direzione Salaria».
Infine la questione stupefacenti. Gli investigatori vogliono accertare se quella sera Genovese avesse assunto sostanze o meno e lo chiederanno anche ai due passeggeri del Suv.
Quanto alla lettera, una missiva di una pagina e mezzo inviata da Paolo Genovese e dalla moglie ai von Freymann e ai Romagnoli, è arrivata a destinazione. Semplice e sobria è ritenuta dai destinatari «sincera e autentica». Un abbraccio rivolto alle famiglie delle vittime. Unico dettaglio, spiega l’avvocato Cesare Piraino «nel testo della lettera non ricorre mai la parola scusa», quasi non fosse il caso di pronunciarla.