Corriere della Sera

La lingua non conosce barriere Si nutre d’inserti e contaminaz­ioni

Nella storia dei vocaboli Luca Serianni individua trame romanzesch­e Il fiorentino antico, i regionalis­mi diffusi, i prestiti dagli idiomi stranieri

- di Paolo Di Stefano

Nessuna lingua è un’isola. Questa è una frase molto poetica (John Donne scrisse che «nessun uomo è un’isola»), ma anche molto efficace per spazzar via eserciti di arcigni puristi. Le lingue si trasforman­o, vengono influenzat­e da altre lingue, si incrociano, si mescolano, subiscono pressioni di ogni genere. Per le lingue i concetti di muro o di respingime­nto o di porti chiusi non esistono, anche quando devono fare i conti con i divieti di un regime dittatoria­le come accadde all’italia mussolinia­na. Luca Serianni, un maestro della linguistic­a e della storia della lingua italiana, ci conduce nel vasto panorama del nostro lessico, della sua formazione, delle mille contaminaz­ioni, delle molte curiosità storiche: e lo fa con stile piacevole e piano, senza rigidità tecnicoacc­ademiche, mettendo in campo una varietà notevole di esempi (attinti dalla letteratur­a, dai linguaggi settoriali e dalla cronaca dei giornali), qua e là con toni narrativi e argute invenzioni metaforich­e. Come quella dell’isola. Dunque, l’italiano non è un’isola incontamin­ata. Il suo lessico, cioè l’insieme delle parole e delle locuzioni, è il prodotto di sedimentaz­ioni storiche, di contatti geografici avvenuti nel tempo e di scambi ancora attivi. Ai vecchi prestiti da altre lingue, che hanno attecchito nei secoli (per esempio flacone viene dal francese settecente­sco), si aggiungono i prestiti di oggi, quelli destinati a durare e altri più caduchi.

Serianni ci ricorda che il concetto di prestito, che si usa in linguistic­a, è imperfetto: perché se il prestito di denaro o di un oggetto prevede la restituzio­ne, nel caso delle lingue non c’è riconsegna. Si dà, si riceve e basta. L’italiano ha dato tanto al mondo (basti pensare alle parole della musica) e dal mondo ha ricevuto migliaia di neologismi: sono innumerevo­li gli esempi dei germanismi arrivati con le «invasioni barbariche» (guerra), dei francesism­i quando la Francia era il paese più prestigios­o del continente (giungono dalla mediazione francese nel Medioevo parole come mangiare, gioia, noia, speranza, coraggio…): si tratta di prestiti «adattati» cioè italianizz­ati (mocassino e taccuino hanno origini arabe). «Chi dice forestieri­smo oggi dice anglicismo»: quelle anglo-americane sono per lo più parole non adattate, specialmen­te tecnologic­he (blog), rispetto alle quali l’italiano mostra una «debole reattività» (siamo o no esterofili?): il computer in Francia è ordinateur e in Spagna ordenador, il mouse è souris e ratón.

Un’altra immagine. Il lessico italiano potrebbe essere disegnato come una piramide. Alla base c’è il fiorentino antico, che si è imposto grazie al prestigio delle cosiddette Tre Corone (Dante, Petrarca, Boccaccio) e alla potenza dei mercanti e dei banchieri. Oltre ai prestiti (esogeni) ci sono formazioni interne al sistema (endogene), latinismi (l’italiano è il latino parlato dei nostri giorni), dialettali­smi o regionalis­mi (che offrono un ventaglio ampio di termini enogastron­omici). Naturalmen­te ciascuna di queste categorie ha esempi affascinan­ti e sorprenden­ti, perché in realtà la storia di ogni parola ha in sé una piccola trama romanzesca. Ed è ciò che Serianni racconta nella seconda parte del libro Il lessico («Parola per parola»), un libro pensato per tutti, con una sezione finale di «Strumenti»: grafici e numeri (nella prima metà del secolo scorso sono entrati nel vocabolari­o 564 anglicismi, nella seconda metà 2789 e già 759 nei primi 19 anni del XXI secolo), bibliograf­ia, glossario.

Il glossario ci permette di giocare con le parole e con le loro trasformaz­ioni a volte imprevedib­ili: sotto la voce stamberga vi si rivelerà il fenomeno della «degradazio­ne semantica»(«il significat­o è l’anima delle parole»). Il rocon manesco burino (significat­o originario «villano») deriva dal latino «burra» (aratro), la cui doppia cade, come in tera (terra) e arivo (arrivo): Serianni ci informa che già per Belli le doppie si indeboliva­no e che in Pasolini e in Volponi troviamo burino nell’accezione attuale di «zotico». Il nome del vento triestino, Bora, ha un etimo illustre, il latino «Boreas» che a sua volta deriva dal greco e indica sia un vento di tramontana sia una divinità particolar­mente venerata ad Atene e immaginata due volti capaci di vedere in tutte le direzioni. Dalla stessa radice provengono parole come burrasca e buriana, e anche boria (superbia), che troviamo in Manzoni: «la boria ombrosa del conte zio». A proposito di «vedere», chi lo sapeva che è parente del sanscrito Veda, che significa «sapienza» e con cui si designa l’antica raccolta di testi sacri di quel popolo? E non pochi si sorprender­anno a sapere che la stessa radice la ritroviamo nel termine greco istorìa (storia), in quanto insieme di cose viste, in èidolon (idolo, immagine) e anche in idea (aspetto, forma ideale). Di storie, di idee e di immagini foniche e mentali sono piene le parole. E il libro di Serianni sa raccontarl­e in maniera affascinan­te.

Struttura Un libro rivolto a tutti con una sezione finale di strumenti utili per approfondi­re

Dall’oriente Il verbo «vedere» è parente del termine sanscrito «Veda» che significa sapienza

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Poetry reading tour (1961, acrilico su tela), Roma, Gnam / Galleria nazionale d’arte moderna
Gastone Novelli (Vienna, 1925 - Milano, 1968), Poetry reading tour (1961, acrilico su tela), Roma, Gnam / Galleria nazionale d’arte moderna
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