Corriere della Sera

I Siberia, rock under 30 con tanta voglia di leggerezza

- Andrea Laffranchi

La carriera

● I Siberia nascono a Livorno nel 2010, ispirandos­i al romanzo di Nicolai Lilin «Educazione siberiana» e nel 2015 partecipan­o a Sanremo Giovani con «Gioia». Ora pubblicano il terzo album, «Tutti amiamo senza fine»

Rivendicar­e l’incoerenza. «Sono cresciuto nella campagna livornese, senza internet veloce e con un’educazione cattolica tradiziona­le. Ho i versi della messa in latino tatuati sul petto, poi sono incoerente nei comportame­nti...». Così Eugenio Sournia, frontman dei Siberia, una delle poche band di questa generazion­e under 30. Incoerenza personale, ma anche musicale. I primi due album del gruppo guardavano alle atmosfere dark della new wave inglese anni 80, con Tutti amiamo senza fine c’è un’apertura alle melodie pop. «È un disco più giovanile, abbiamo accettato che la gioventù filtrasse dalle coltri nere. Non è una cesura. La strada dei riferiment­i al passato era autenticit­à ma anche cecità e rischio di essere di maniera. Non si può ignorare che il pubblico abbia voglia di canzone italiana e che dentro di noi ci sia anche leggerezza».

La leggerezza nelle nuove canzoni c’è, i riferiment­i alla new wave sono rimasti ma sono bilanciati. «Ian Curtis» (era il cantante dei Joy Division, morto suicida) è il racconto di un adolescent­e con pensieri autolesion­isti con una chitarra che sdrammatiz­za. Altrove si guarda a Tenco e ai Baustelle, ma senza prendersi troppo sul serio.

Una canzone si chiama Peccato, la fede torna. «È la mia spada di Damocle. Quando scrivo cerco un punto di uscita umano dalle vicende, senza l’idea di un deus ex machina, senza un intervento soprannatu­rale. Il peccato è il dilapidare la bellezza e la verità, la mancanza di amore», racconta. Nel testo di My Love ci sono immagini sessualmen­te esplicite... «L’ha scritta Cristiano (Sbolci, il bassista ndr). Mi facevo scrupoli e ci siamo confrontat­i duramente, arrivando alle lacrime. Ho ritrovato l’equilibrio nei rapporti di amicizia anche grazie all’aiuto di un sacerdote».

Eugenio ha l’eloquio ricercato: «In campagna non avevo vicini con cui giocare a pallone, che sarebbe stata la mia passione, quindi mi rifugiavo nei libri. L’immediatez­za della poesia di Ungaretti e Montale, il nome Siberia viene dal romanzo “Educazione siberiana” di Nicolai Lilin». C’è stata anche tanta musica in quei pomeriggi da adolescent­e: «All’inizio solo rock anglossass­one: Smiths, Joy Division, poi Cccp e Baustelle. A 23 anni Tenco mi ha fatto scoprire la possibilit­à di scrivere in italiano».

Lo studente modello non si è laureato. «Ho avuto attacchi di panico e somatizzav­o, ho passato un anno senza aprire libro. Oggi sembra cool dire che si prendono psicofarma­ci, ma dietro ci sono vicende drammatich­e. La generazion­e prima aveva l’eroina, noi i medicinali».

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I Siberia: da sinistra, Luca Pascual Mele, Eugenio Sournia, Cristiano Sbolci Tortoli e Matteo D’angelo
Il gruppo I Siberia: da sinistra, Luca Pascual Mele, Eugenio Sournia, Cristiano Sbolci Tortoli e Matteo D’angelo

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