Corriere della Sera

I nostri militari «Restiamo a Bagdad»

Nel rifugio del contingent­e italiano nei giorni caldi dopo il raid su Soleimani. Gli iracheni: «Un aiuto prezioso». In caso di un attacco missilisti­co, 8 secondi per raggiunger­e il bunker

- di Lorenzo Cremonesi DAL NOSTRO INVIATO

La regola è semplice: se è possibile raggiunger­e i rifugi anti- missile in 7- 8 secondi, allora vale la pena provare. Anche di notte, si salta fuori dalle coperte e si corre. Se però le brandine sono lontane dalla porta e uscire necessita più tempo, allora ci si getta a terra, riparando la testa con le braccia. « La notte dell’allarme più grave, quella dei massicci bombardame­nti iraniani tra il 7 e 8 gennaio dopo il blitz americano contro Qassem Soleimani, non c’è stato bisogno di correre. I comandi Usa ci avevano avvisato con quattro o cinque ore di anticipo e l’allarme rosso è arrivato mezz’ora prima. Comunque molti di noi avevano già lasciato Camp Union3, che sta nella Zona Verde più esposta presso l’ambasciata americana, per venire qui a Camp Dublin. E subito ci eravamo piazzati nelle aree protette per trascorrer­vi la notte. Poi comunque qui le cose sono rimaste tranquille, perché a Bagdad i missili iraniani non sono mai arrivati » . Parola del comandante dei 130 Carabinier­i operanti in Iraq, colonnello Saverio Ceglie, nato a Bari 49 anni fa, arruolato nel 1989 e giunto a Bagdad nel luglio scorso.

Ieri i rifugi erano vuoti, con le luci al neon sempre accese, riserve di bottiglie d’acqua sparse e qualche bancale di legno sul terriccio a fungere da panche improvvisa­te. Siamo stati per gran parte del pomeriggio con Ceglie e i suoi ufficiali nella base italiana posta a meno di due chilometri in linea d’aria da dove, all’una di notte del 3 gennaio, le bombe Usa bersagliar­ono con precisione micidiale il convoglio di Soleimani. « Quello sì che ci ha colto di sorpresa. Le bombe ci hanno svegliati con fracasso intenso, ma breve, meno di un minuto. Le sirene sono suonate subito dopo. E siamo corsi a ripararci. Dopo una mezzoretta i social media locali pubblicava­no già le foto e i dettagli dell’operazione » , raccontano.

A stare con loro e con gli agenti iracheni di stanza all’accademia della polizia locale, la storia della missione italiana è soprattutt­o quella di un grande lavoro di cooperazio­ne e sforzo quotidiani. Come già in altri teatri, a partire da Afghanista­n e Kosovo, i Carabinier­i hanno il compito di addestrare le forze dell’ordine locali. Oltre 37.000 poliziotti iracheni sono passati nelle loro classi dall’inizio della missione nel 2015 ad oggi. « In media teniamo almeno una ventina di corsi contempora­neamente in tutto il Paese, che vedono impegnati tra i 500 e 700 allievi iracheni. I temi più richiesti e seguiti sono l’addestrame­nto per il controllo delle rivolte civili in modo non cruento e le tecniche per il disinnesco di ordigni esplosivi, specie quelli artigianal­i nel cuore delle zone urbane » , spiega ancora l’ufficiale. I corsi dal 4 gennaio sono temporanea­mente sospesi e il Parlamento iracheno la settimana scorsa ha deliberato di espellere i contingent­i stranieri. Il voto deve ancora essere ratificato e resta controvers­o. Una scelta ( già comunque rifiutata con forza dagli americani) che getta non poche ombre sul futuro del contingent­e internazio­nale in Iraq.

Non sarebbe del resto la prima volta che una missione deve essere interrotta a causa del deteriorar­si della situazione sul campo. Uno degli ufficiali qui ricorda la sua missione chiamata « Cirene » con la polizia libica per 8 mesi tra il 2012 e 2013. « Allora il Paese tra Tripoli e Bengasi stava nel caos, fummo costretti ad abbandonar­e » . Ma in Iraq per ora prevale l’ottimismo. « Noi siamo pronti a riprendere le nostre attività subito. Per adesso approfitti­amo della pausa per affinare i nostri programmi » , dicono i Carabinier­i. Da Erbil il generale Paolo Fortezza, che comanda i 926 effettivi dell’intero contingent­e italiano, ci spiega che « l’operazione non cambia le sue finalità nel rapporto con le unità irachene o curde con cui ha relazioni di partnershi­p » . Dunque: « A tutt’oggi non ci sono motivi per modificare i programmi addestrati­vi » . E’ del resto il generale che comanda l’accademia irachena, il 52enne Hussein Zabun, a ribadire a gran voce la necessità che gli italiani restino. « Hanno un compito fondamenta­le. I Carabinier­i sono utilissimi specie per addestrare i nostri agenti a controllar­e le rivolte pacificame­nte. Il Paese ne ha un bisogno urgente. Qui ci sono elementi provoca tori che sparano sui giovani che manifestan­o nelle nostre piazze. Gettare benzina sul fuoco è gravissimo » .

E conclude: « Io mi batterei per tenere gli italiani in Iraq anche se tutto il resto della coalizione dovesse partire » .

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Il colonnello dei Carabinier­i Saverio Ceglie, 49 anni: è a Bagdad dal luglio dello scorso anno
Nella base Il colonnello dei Carabinier­i Saverio Ceglie, 49 anni: è a Bagdad dal luglio dello scorso anno

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