Corriere della Sera

«Ecco perché non esistono due Papi»

Il vescovo di Reggio Emilia: i politici cattolici litigano fra loro

- di Aldo Cazzullo

Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, spiega al Corriere perché non esistono due Papi, perché sarebbe sbagliato rinunciare al celibato dei preti, e perché Salvini ha perso in Emilia-romagna. E dice: «Basta ripetere frasi di Francesco a mo’ di slogan».

Monsignor Camisasca, nel suo ultimo libro «Abita la terra e vivi con fede» lei scrive che siamo a un tornante della storia dell’uomo. Perché?

«Perché oggi l’uomo è in grado, attraverso la scienza e la tecnologia, di scendere alle radici della vita. L’uomo potrebbe “creare” l’uomo. Ma quale uomo? Questa “creazione” può coincidere con la sua distruzion­e. L’uomo può creare anche macchine che lo dominino, finendo quindi per diventare schiavo di ciò che lui stesso ha voluto. Enormi benefici possono capovolger­si nella distruzion­e dell’umano».

Gli sconvolgim­enti sembrano riguardare anche la Chiesa. Come la si governa al tempo dei due Papi?

«Non ci sono due Papi. C’è un Papa solo: Francesco. Il ministero petrino ha assunto negli ultimi decenni una rilevanza mondiale sempre più vasta. La voce del Papa è ascoltata e contraddet­ta in tutto il mondo. I giornali non solo parlano del Papa, ma ne creano anche un’immagine. Ma il Papa deve essere libero da ciò che il mondo pensa di lui. Egli deve essere eco della parola di Cristo. Certamente tale parola avrà anche un influsso politico, ma non deve pensare a questo».

Francesco è più amato dai non credenti che dai praticanti?

«È la prima impression­e che si ha guardando i giornali, ma non è la verità. Molti non credenti pensano che Francesco abbia addolcito il giogo di Cristo, abolendo dogmi e regole; ma questo non li avvicina a Cristo. Alcuni invece sono attratti dalla carità e dalla forza con cui Francesco va incontro agli uomini. Questo converte. Per quanto riguarda i credenti: penso che occorra discernere continente per continente. Francesco è il primo Papa sudamerica­no. Porta in Europa un occhio nuovo. Occorre un lavoro di meditazion­e delle sue parole essenziali. La pletora di libri che escono su di lui rende più difficile concentrar­si su ciò che è davvero importante. Non fanno bene neppure coloro che continuano a ripetere alcune sue frasi, come “Chiesa in uscita”, a mo’ di slogan, ma senza aiutarci a coglierne lo spessore».

C’è qualcuno che lavora contro il Papa?

«I primi che lavorano contro il Papa sono gli adulatori, che impediscon­o di vedere la verità. Quando Giovanni Paolo II fu eletto, il vescovo Andrea Deskur, suo amico, gli disse: “D’ora in poi non saprai più chi sono i tuoi amici”. Era un’esagerazio­ne, ma conteneva una verità. Ci sono poi coloro che sono a priori “per” o “contro”, senza fare la fatica di entrare nelle parole di questo pontificat­o. Ma c’è anche chi vorrebbe canonizzar­e ogni parola del Papa, come se fosse uguale ciò che dice sull’aereo o in un documento solenne».

Non lo è?

«Il Papa è Pietro. Non è necessario aderire a ogni particolar­e della sua personalit­à. Il Papa deve essere amato e riconosciu­to come guida della Chiesa. Soprattutt­o è necessario chiedersi cosa Cristo vuol dire attraverso di lui a tutti noi».

Per i vescovi tedeschi il Papa non fa abbastanza, per quelli americani fa sin troppo. C’è il rischio di uno scisma «da sinistra» e di uno «da destra»?

«Credo che la situazione della Chiesa tedesca sia drammatica. Profondame­nte segnata dalla terribile contraddiz­ione di essere una Chiesa ricca ma senza fedeli, pensa di recuperarl­i inseguendo la logica del mondo. La Chiesa americana invece è molto viva. Ma non penso che ci siano vescovi americani contro il Papa».

Lei è favorevole a consentire l’ordinazion­e di uomini sposati, almeno in Amazzonia e nelle zone spopolate? Il celibato è davvero irrinuncia­bile?

«Sono assolutame­nte contrario all’ordinazion­e di uomini sposati. Ciò che è stato chiesto per l’amazzonia diventereb­be una premessa per tutta la Chiesa. Il celibato fu innanzitut­to la scelta di Cristo per la sua vita. Egli poi chiamò anche tra gli uomini sposati alcuni suoi apostoli, come ad esempio Pietro. Anche a loro Gesù chiese di lasciare tutto, compresa la famiglia, per seguirlo. Oggi i sacerdoti lavorano molto e portano moltissime responsabi­lità. Vogliamo aggiungere anche le responsabi­lità di una famiglia? Come potrebbero poi essere disponibil­i a spostarsi? E i preti divorziati? Mi sembra una grande saggezza riaffermar­e l’assoluta convenienz­a del celibato».

La Chiesa in Italia conta di meno. La sua voce esce di rado dalle mura interne. Perché?

«Molti parlano di una Chiesa silente. La Chiesa italiana parla nelle sue comunità attraverso la testimonia­nza della santità e della speranza: famiglie che attraversa­no le difficoltà rimanendo unite; persone che lottano contro l’aborto e l’eutanasia, che dedicano la loro vita ad aiutare gli immigrati, i malati e tutti i grandi “scartati” di cui parla papa Francesco. Tutto questo mondo di santità fatica a diventare cultura, giudizio sulla storia e sui trend culturali mondani che vogliono sostituirs­i a Dio. Questo è il compito che abbiamo davanti come vescovi e come Chiesa italiana».

C’è spazio in Italia per un partito cattolico?

«In astratto sì, concretame­nte no. I politici cattolici militano in partiti diversi, non si ascoltano più, si contrappon­gono tra loro».

Lei ha visto il film «I due Papi»? E «The new Pope» di Sorrentino?

«Ho visto I due Papi. Mi ha affascinat­o l’attore che interpreta papa Francesco, mentre papa Benedetto è assolutame­nte sbagliato nella sua resa. Ratzinger rimane uno sconosciut­o ai più: non conoscono i suoi scritti e ignorano il suo tratto gentile e timido, assolutame­nte positivo riguardo all’interlocut­ore. Non penso che guarderò la serie di Sorrentino».

Si è votato nella Regione in cui lei è vescovo, l’emilia-romagna, e Salvini non ha vinto. Come mai? Ha prevalso l’anima rossa di questa terra, a cominciare da Reggio? O Salvini ha esagerato, con il citofono e tutto?

«Ho avuto l’impression­e che il centrodest­ra fosse in vantaggio fino a due-tre settimane prima delle elezioni. Poi l’insistenza su Bibbiano in modo inappropri­ato, il caso del citofono e certi toni hanno portato molti elettori dal desiderio del cambiament­o alla paura del cambiament­o. Penso che la sinistra debba ascoltare coloro che hanno votato per il centrodest­ra. Le loro domande pongono problemi reali e profondi».

Ruini ha consigliat­o alla Chiesa di dialogare con Salvini. È giusto farlo?

«Ruini è un ottimo politico. Nelle sue parole però sentii innanzitut­to la voce del vescovo. I vescovi devono incontrare tutti, devono ascoltare tutti. Salvini, nel bene e nel male, rappresent­a la voce di milioni di persone, perlopiù credenti. Pio XII ricevette in udienza Togliatti, anche se di nascosto. Perché non si dovrebbe incontrare Salvini?».

A che punto è Comunione e Liberazion­e, di cui lei ha scritto la storia? È stata demonizzat­a? È ancora viva e influente?

«Certo nel passato è avvenuta una demonizzaz­ione, non senza colpe da parte di Cl. Non è stata capace di mostrare quanto il coraggio dell’azione politica di alcuni suoi membri e gli inevitabil­i errori dovessero essere legati e distinti dal movimento stesso. Oggi mi pare che i movimenti abbiano fatto tutti passi indietro, anche numericame­nte. La loro influenza sulle anime la giudica Dio. Sulla storia degli uomini essa è ancora forte. Devono sicurament­e crescere nella loro capacità di fare cultura e di esprimere giudizi».

Un capitolo del suo libro è dedicato ai migranti. La Chiesa ha perso un po’ di sintonia con l’opinione pubblica predicando l’accoglienz­a? Aveva torto Biffi quando diceva che era meglio privilegia­re gli arrivi da Paesi di religione cattolica?

«La Chiesa italiana ha fatto molto. L’ho potuto vedere dall’interno. Però non abbiamo saputo rassicurar­e né influire sui processi di integrazio­ne. Se si accoglie chi non può essere integrato, si fa il male delle persone. Tra l’“accogliamo tutti” e l’“accogliamo nessuno” c’è la linea della prudenza e della saggezza invocata da papa Francesco».

Che cosa significa in concreto?

«Accordi con i Paesi africani per ridurre le partenze; lotta ai mercanti di migranti; stabilizza­zione della Libia e dei Paesi limitrofi; cordoni umanitari per accogliere chi fugge dalle violenze; accordi europei per la distribuzi­one dei profughi; sicurezza nelle nostre strade. Non si può costruire il futuro senza custodire le proprie tradizioni e i propri valori. Vogliamo restare l’europa, anche con l’aiuto di nuove presenze. Non vogliamo diventare un continente senza volto. Per questo l’insistenza di quindici anni fa sulle radici giudaico-cristiane, forse allora politicame­nte sbagliata, è la condizione per costruire il futuro».

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Massimo Camisasca, nato a Milano nel 1946, è vescovo di Reggio Emilia-guastalla dal 29 settembre del 2012
Milanese Massimo Camisasca, nato a Milano nel 1946, è vescovo di Reggio Emilia-guastalla dal 29 settembre del 2012

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