La linea di Crimi (ispirata da Di Maio): stop ai toni urlati stile «partito di Bibbiano»
Dall’era del «vaffa» agli «smile» sui social: la svolta moderata della comunicazione M5S
ROMA Prima dei toni, sono cambiati i modi. Dai temi più semplici a quelli decisamente più delicati. Paola Taverna va ospite di Massimo Giletti a Non è l’arena e c’è bisogno che la vedano in tanti? «Vi riproponiamo il suo intervento. Collegatevi!», si legge sul profilo Facebook del Movimento 5 Stelle che pubblica il link alla puntata con un linguaggio rassicurante come quello di una finanziaria che propone prestiti a rate nel palinsesto mattutino. E persino quando c’è da battagliare su un tema delicatissimo come la riforma della prescrizione, legando sui social «il messaggio» alla tragedia ferroviaria di Viareggio o al Ponte Morandi, anche lì, modi soft. «Ecco cosa intendiamo quando si parla di prescrizione. Prendetevi un minuto di tempo per guardare questo video!».
Sembra tutto casuale. Ma casuale non è. La «svolta» sussurrata dall’ex capo politico Luigi Di Maio e fatta propria dal reggente Vito Crimi, in attesa che il primo si ripresenti agli stati generali e il secondo capisca se seguirlo o meno, riguarda la comunicazione social del Movimento. Basta toni urlati, basta inseguire Salvini sul terreno a lui più congeniale, basta risse, urla, strepiti; vale per le partecipazioni in tv degli esponenti del M5S così come per i messaggi da divulgare sui social network.
E così, a ventisei anni di distanza dagli spot occulti e palesi che scandirono modi e tempi della nascita di Forza Italia («Berlusconi non ha mai licenziato nessuno», celebre frase di Mike Bongiorno poco prima delle elezioni del ’94), lo «smile» sta per contagiare anche il partito nato sul «vaffa». Una svolta benedetta da Beppe Grillo, ovviamente, sostenitore del progetto di alleanza M5S-PD sotto l’egida dell’«elevato» (il copyright è del comico genovese) Giuseppe Conte. Una svolta che ha cominciato a farsi largo così, silenziosamente, sull’onda di chi dentro il Movimento — a cominciare da Di Maio — insiste sulla necessità di parlare di contenuti in uno stile che si smarchi decisamente da quello di Salvini.
I tempi del Pd «partito di Bibbiano», seppur distanti da noi giusto qualche manciata di mesi, sembrano ormai archeologia industriale, vintage, modernariato. Sull’asse che collega la Casaleggio associati alla stanza di Di Maio alla Farnesina hanno capito che a fare a gara a chi urla di più vince Salvini; e quindi bisogna cambiare registro, facendo la parte del «governo che fa il governo», non l’opposizione.
Accantonato il turpiloquio, messo da parte l’insulto, limitato al massimo il corpo a corpo, il Movimento si tuffa a capofitto sulle cifre, sulle cose concrete. O quantomeno ci prova. «Abbiamo esteso il bonus bebè a 1.920 euro l’anno», «grazie alla legge salvamare (…) i pescatori diventeranno protagonisti», «abbiamo destinato due milioni di euro per medici e ricercatori dello Spallanzani» e poi impossibile tralasciare i «centottanta milioni alle regioni del bacino padano per il contrasto allo smog», solo per rimanere ai messaggi degli ultimi giorni su Twitter. E persino quando c’è da prendere di petto chi minaccia la futura sopravvivenza del reddito di cittadinanza, come ha fatto Silvio Berlusconi nelle uscite pubbliche dei primi giorni di febbraio, ecco che il messaggio sui social si tiene distantissimo dal vecchio, caro, tono rude che ha scandito il primo decennio del Movimento. Giusto una foto di Berlusconi digitalmente invecchiato e un messaggio alla Robin Hood: «Forza Italia vuole togliere il reddito di cittadinanza ai poveri e ridare i vitalizi ai ricchi».
Certo, la svolta soft della comunicazione potrebbe suonare, sostengono i critici interni, come una chiusura delle stalle a buoi già fuggiti. Ma insistere a inseguire i toni di Salvini, come hanno dimostrato le ultime Regionali, non è produttivo. E biglietti di ritorno verso il «vaffa», a oggi, non se ne vedono. Forse.
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