UN’EUROPA IN CERCA DI DIFESA
Da quando russi e americani hanno cancellato di comune accordo (anche se non lo ammetteranno mai) il trattato Inf che vietava gli euromissili, la questione della sicurezza europea ha acquistato una nuova urgenza. Troppo passivo davanti alle nuove minacce del dopo-guerra fredda e troppo sicuro di una protezione statunitense meno scontata di un tempo, il Vecchio Continente ha incassato a fatica i dissensi transatlantici degli ultimi tre anni. E ora che aumentano le probabilità di rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, in Europa cresce in parallelo un inedito tormento strategico: dove e con quale consenso sociale si possono trovare le risorse per far avanzare il progetto della difesa europea, oppure quello, più realizzabile, di un pilastro europeo all’interno della Nato e dell’alleanza con l’america? Come evitare di essere schiacciati in un futuro prossimo dalla tenaglia strategica e tecnologica Usa-cina, con la Russia che non starà certo a guardare? E ancora, come promuovere l’unità di intenti almeno tra i principali Stati della Ue, essendo chiaro a tutti che non può esistere una sicurezza comune senza volontà politica comune?
La Russia e la Turchia, davanti al tardivo risveglio dell’unione, hanno avuto di recente l’involontaria cortesia di offrire all’europa un banco di prova capace di collaudare le sue nuove inquietudini: la Libia.
Un conflitto a noi vicino, legatissimo agli interessi europei a cominciare da quelli italiani, e per di più osservato con scarso interesse dagli Stati Uniti che più volte hanno invitato gli alleati a provvedere per proprio conto. Ebbene, se di collaudo si è trattato va detto che i risultati sono stati sin qui assai deludenti. Alla vaghezza retorica e agli errori passati dell’italia si sono aggiunti i timori di fallimento della Germania, e così la conferenza di Berlino è diventata un esercizio diplomatico troppo affollato che ha prodotto un libro dei sogni senza impegni precisi da parte di chi tiene il dito sul grilletto. Tutti hanno detto «sì» ma ognuno si regola come vuole, la tregua e lo stop ai rifornimenti militari sono rimasti concetti in gran parte astratti, si parla anche in Italia di «missione europea» senza precisarne il ruolo e senza valutarne le necessarie premesse, restano inevasi interrogativi come quello che riguarderebbe Misurata (dove c’è un ospedale italiano protetto da forze italiane) nel caso il cirenaico Haftar decidesse di attaccarla,
Prospettive Il problema è evitare di essere schiacciati dalla tenaglia Usa-cina, con la Russia sullo sfondo
e le linee del confronto militare disegnano di fatto una spartizione della Libia che nessuno dichiara di volere.
Se la Libia è un assaggio delle potenzialità di una nuova sicurezza europea, il meno che si possa dire è che resta moltissimo da fare. Ma sul tavolo dell’europa prossima ventura non c’è soltanto la Libia. C’è, anche, quel Boris Johnson che ha appena celebrato la parte più facile della Brexit e si prepara a una guerra negoziale con Bruxelles su quella più difficile. Non solo, perché resta da scoprire quale sarà la politica estera di Johnson. Quella nazionale e spesso vicina all’europa esibita in tema di Huawei e 5G, oppure quella appiattita sugli Usa (i precedenti non mancano) mostrata pochi giorni dopo elogiando, nell’imbarazzo degli altri alleati, il «piano del secolo» di Trump sul conflitto israelo-palestinese? L’interrogativo è cruciale, perché gli europei vorrebbero mantenere inalterata, se non allargare, la collaborazione con Londra in tema di sicurezza e di difesa. Cosa che potrebbe non piacere a Washington, particolarmente in campo industriale.
C’è la nevrosi politica tedesca davanti al declino dei partiti tradizionali e della cancelliera Merkel, che si traduce in un indebolimento dell’intero progetto europeo.
E poi c’è la Francia, diventata grazie al divorzio con Londra l’unico Stato europeo a possedere un seppur modesto arsenale nucleare. Cosa intendeva Emmanuel Macron quando nei giorni scorsi si è detto disposto ad associare altri Paesi europei al potere deterrente della Force de frappe? L’eliseo ha respinto un suggerimento venuto da un parlamentare tedesco volto a porre
Limiti Se la Libia è un assaggio delle nostre potenzialità, resta moltissimo da fare
le forze atomiche transalpine sotto comando Ue o Nato, ma se esiste davvero una via alternativa da mettere al servizio dell’autonomia strategica dell’europa, fin dove vorrà e potrà spingersi un Macron che alle ultime europee ha soltanto pareggiato con Marine Le Pen e che tra poco dovrà affrontare una nuova campagna presidenziale? Di certo le parole del capo dell’eliseo hanno fatto risuonare un campanello in molte cancellerie europee a cominciare da quella di Berlino, e le prospettive della mezza apertura di Parigi sembrano migliori, e soprattutto meno divisive, del coinvolgimento della Russia sollecitato da Parigi.
L’italia, se non fosse per l’industria della difesa che di norma difende bene occasioni e interessi, brillerebbe per la sua assenza da un simile dibattito. Indipendentemente dalla sorte futura dei progetti europei, si tratta di un errore non nuovo che soltanto in parte può essere giustificato dalla demagogia propagandistica e dalle liti permanenti che caratterizzano la nostra politica interna. A mancare è una consapevolezza fondamentale, che la pace si difende con una valida struttura di sicurezza, non con l’arrendevolezza, la vulnerabilità o l’incertezza dei trattati. Anche perché così si lascia spazio a una non nuova suggestione di certa destra americana, secondo cui l’italia starebbe meglio rompendo con l’europa e assumendo, con l’aiuto Usa, una ipotetica quanto poco probabile leadership nel Mediterraneo. Come dirci che continuiamo a essere il ventre molle dell’europa, quello che più facilmente può essere allontanato dai suoi veri interessi nazionali.