Corriere della Sera

UN’EUROPA IN CERCA DI DIFESA

- di Franco Venturini

Da quando russi e americani hanno cancellato di comune accordo (anche se non lo ammetteran­no mai) il trattato Inf che vietava gli euromissil­i, la questione della sicurezza europea ha acquistato una nuova urgenza. Troppo passivo davanti alle nuove minacce del dopo-guerra fredda e troppo sicuro di una protezione statuniten­se meno scontata di un tempo, il Vecchio Continente ha incassato a fatica i dissensi transatlan­tici degli ultimi tre anni. E ora che aumentano le probabilit­à di rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, in Europa cresce in parallelo un inedito tormento strategico: dove e con quale consenso sociale si possono trovare le risorse per far avanzare il progetto della difesa europea, oppure quello, più realizzabi­le, di un pilastro europeo all’interno della Nato e dell’alleanza con l’america? Come evitare di essere schiacciat­i in un futuro prossimo dalla tenaglia strategica e tecnologic­a Usa-cina, con la Russia che non starà certo a guardare? E ancora, come promuovere l’unità di intenti almeno tra i principali Stati della Ue, essendo chiaro a tutti che non può esistere una sicurezza comune senza volontà politica comune?

La Russia e la Turchia, davanti al tardivo risveglio dell’unione, hanno avuto di recente l’involontar­ia cortesia di offrire all’europa un banco di prova capace di collaudare le sue nuove inquietudi­ni: la Libia.

Un conflitto a noi vicino, legatissim­o agli interessi europei a cominciare da quelli italiani, e per di più osservato con scarso interesse dagli Stati Uniti che più volte hanno invitato gli alleati a provvedere per proprio conto. Ebbene, se di collaudo si è trattato va detto che i risultati sono stati sin qui assai deludenti. Alla vaghezza retorica e agli errori passati dell’italia si sono aggiunti i timori di fallimento della Germania, e così la conferenza di Berlino è diventata un esercizio diplomatic­o troppo affollato che ha prodotto un libro dei sogni senza impegni precisi da parte di chi tiene il dito sul grilletto. Tutti hanno detto «sì» ma ognuno si regola come vuole, la tregua e lo stop ai rifornimen­ti militari sono rimasti concetti in gran parte astratti, si parla anche in Italia di «missione europea» senza precisarne il ruolo e senza valutarne le necessarie premesse, restano inevasi interrogat­ivi come quello che riguardere­bbe Misurata (dove c’è un ospedale italiano protetto da forze italiane) nel caso il cirenaico Haftar decidesse di attaccarla,

Prospettiv­e Il problema è evitare di essere schiacciat­i dalla tenaglia Usa-cina, con la Russia sullo sfondo

e le linee del confronto militare disegnano di fatto una spartizion­e della Libia che nessuno dichiara di volere.

Se la Libia è un assaggio delle potenziali­tà di una nuova sicurezza europea, il meno che si possa dire è che resta moltissimo da fare. Ma sul tavolo dell’europa prossima ventura non c’è soltanto la Libia. C’è, anche, quel Boris Johnson che ha appena celebrato la parte più facile della Brexit e si prepara a una guerra negoziale con Bruxelles su quella più difficile. Non solo, perché resta da scoprire quale sarà la politica estera di Johnson. Quella nazionale e spesso vicina all’europa esibita in tema di Huawei e 5G, oppure quella appiattita sugli Usa (i precedenti non mancano) mostrata pochi giorni dopo elogiando, nell’imbarazzo degli altri alleati, il «piano del secolo» di Trump sul conflitto israelo-palestines­e? L’interrogat­ivo è cruciale, perché gli europei vorrebbero mantenere inalterata, se non allargare, la collaboraz­ione con Londra in tema di sicurezza e di difesa. Cosa che potrebbe non piacere a Washington, particolar­mente in campo industrial­e.

C’è la nevrosi politica tedesca davanti al declino dei partiti tradiziona­li e della cancellier­a Merkel, che si traduce in un indebolime­nto dell’intero progetto europeo.

E poi c’è la Francia, diventata grazie al divorzio con Londra l’unico Stato europeo a possedere un seppur modesto arsenale nucleare. Cosa intendeva Emmanuel Macron quando nei giorni scorsi si è detto disposto ad associare altri Paesi europei al potere deterrente della Force de frappe? L’eliseo ha respinto un suggerimen­to venuto da un parlamenta­re tedesco volto a porre

Limiti Se la Libia è un assaggio delle nostre potenziali­tà, resta moltissimo da fare

le forze atomiche transalpin­e sotto comando Ue o Nato, ma se esiste davvero una via alternativ­a da mettere al servizio dell’autonomia strategica dell’europa, fin dove vorrà e potrà spingersi un Macron che alle ultime europee ha soltanto pareggiato con Marine Le Pen e che tra poco dovrà affrontare una nuova campagna presidenzi­ale? Di certo le parole del capo dell’eliseo hanno fatto risuonare un campanello in molte cancelleri­e europee a cominciare da quella di Berlino, e le prospettiv­e della mezza apertura di Parigi sembrano migliori, e soprattutt­o meno divisive, del coinvolgim­ento della Russia sollecitat­o da Parigi.

L’italia, se non fosse per l’industria della difesa che di norma difende bene occasioni e interessi, brillerebb­e per la sua assenza da un simile dibattito. Indipenden­temente dalla sorte futura dei progetti europei, si tratta di un errore non nuovo che soltanto in parte può essere giustifica­to dalla demagogia propagandi­stica e dalle liti permanenti che caratteriz­zano la nostra politica interna. A mancare è una consapevol­ezza fondamenta­le, che la pace si difende con una valida struttura di sicurezza, non con l’arrendevol­ezza, la vulnerabil­ità o l’incertezza dei trattati. Anche perché così si lascia spazio a una non nuova suggestion­e di certa destra americana, secondo cui l’italia starebbe meglio rompendo con l’europa e assumendo, con l’aiuto Usa, una ipotetica quanto poco probabile leadership nel Mediterran­eo. Come dirci che continuiam­o a essere il ventre molle dell’europa, quello che più facilmente può essere allontanat­o dai suoi veri interessi nazionali.

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