Corriere della Sera

L’aldiquà

- di Massimo Gramellini

Jang Ji-sung è entrata nello studio televisivo, ha indossato il visore e i guanti della realtà virtuale, poi ha cominciato a parlare con il silenzio e ad accarezzar­e il vuoto. Questo accadeva osservando la scena da fuori. Ma nel mondo in cui Jang era precipitat­a, quel silenzio e quel vuoto avevano assunto la voce e le fattezze di Nayeon, scomparsa a 7 anni dopo una leucemia. Il dio della tecnologia aveva ricreato un paradiso modellato sul prototipo del parco in cui madre e figlia avevano trascorso ore felici. Da fuori era straziante, per qualcuno forse inquietant­e, vedere la giovane donna commuovers­i fino alle lacrime mentre si contorceva in mezzo al nulla pur di stringere l’ombra della sua bambina e soffiare sopra le candeline immaginari­e di una torta di compleanno. Ma da dentro doveva essere tutta un’altra cosa. Un momento di sollievo, la realizzazi­one di un sogno.

Fa parte della natura di chi sopravvive cercare un contatto con chi non c’è più. L’aldilà è un mistero e da sempre anche un affare. Quello offerto dalla realtà virtuale non mi sembra peggiore o migliore di altri. Come tutto, a questo mondo, risponde a un bisogno. Dipende dall’uso che se ne fa. I saggi dicono che il dolore è una strada che va attraversa­ta fino in fondo. Ma non c’è niente di male se lungo il tragitto ci si ferma in un punto di ristoro per togliersi la polvere dalle scarpe. L’importante, dicono sempre i saggi, è poi riprendere il cammino.

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