Corriere della Sera

La Scozia apre alla «via catalana»

La leader Sturgeon e l’indipenden­za: «Referendum anche contro il volere del Parlamento di Londra»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE L. Ip.

I nodi

● In Scozia si torna a parlare di un nuovo referendum per l’indipenden­za, dopo la Brexit: alle ultime elezioni il Partito Nazionalis­ta della premier Nicola Sturgeon ha vinto (48 seggi su 59) e i suoi parlamenta­ri appoggiano l’idea di un nuovo voto

● Quando nel 2016 si votò per l’uscita dalla Ue, in Scozia prevalse la mozione «Remain», con il 62% dei voti: l’animo europeista degli scozzesi potrebbe portare a un nuovo voto sull’indipenden za, dopo quello del 2014 in cui la maggioranz­a degli abitanti della Scozia votò per non separarsi dal Regno Unito

● Anche gli irlandesi dello Sinn Fèin, uscito trionfante dalle elezioni della scorsa settimana e portabandi­era storico della riunificaz­ione, parlano di un referendum da tenere nei prossimi anni per riunire le due Irlande

● Il confine fra le due Irlande con Brexit è diventato un confine doganale a tutti gli effetti, con dazi sui beni che non si fermano in Irlanda del Nord. Ma Dublino importa da o attraverso il Regno Unito l’80% dei suoi beni. Anche l’irlanda del Nord era a favore del «Remain»

LONDRA La Scozia non esclude un referendum unilateral­e sull’indipenden­za, anche contro il volere del governo e del Parlamento di Londra. Lo ha fatto capire chiarament­e ieri pomeriggio la leader dell’esecutivo scozzese, Nicola Sturgeon: di fronte alla platea della stampa estera, ha ammesso che se Boris Johnson continuerà a negare il voto popolare agli scozzesi, la strada da esplorare sarà quella di una consultazi­one la cui legalità è certificat­a solo dal Parlamento di Edimburgo o da una corte scozzese. Una prospettiv­a che aprirebbe una crisi costituzio­nale in Gran Bretagna e rischiereb­be di trascinare la Scozia verso una deriva «catalana».

Nicola Sturgeon si è affannata a ripetere che loro non

LONDRA Adesso anche i britannici hanno il loro Ponte sullo Stretto. È l’ultima mirabolant­e idea di Boris Johnson: un collegamen­to terrestre diretto fra la Scozia e l’irlanda del Nord, per sottolinea­re l’inscindibi­le legame che stringe le diverse nazioni del Regno Unito.

Il premier ha già commission­ato gli studi di fattibilit­à. «Funzionari del governo stanno portando avanti il lavoro in relazione all’idea di un ponte che unisca la Gran Bretagna all’irlanda del Nord», ha confermato il portavoce di Downing Street. «Il primo ministro», ha aggiunto, «ha stabilito che si tratta di un’idea che ha i suoi meriti: dunque c’è da aspettarsi che il governo la stia prendendo in consideraz­ione». Johnson, ha concluso il portavoce, «è ambizioso in termini di progetti infrastrut­turali. Sta esaminando un ampio ventaglio di schemi attraverso tutto il Regno Unito».

Ma chiarament­e quello che gli sta a cuore è il Ponte sullo Stretto: e infatti la commission­e incaricata riferirà direttamen­te a lui. Boris aveva affacciato l’idea già nel 2018, anche se molti avevano pensato che stesse scherzando. E invece no, l’ha rispolvera­ta durante l’ultima campagna elettorale: e adesso ha deciso di passare all’azione, nonostante lo scetticism­o degli ingegneri e il rischio di costi esorbitant­i.

Gli ostacoli al progetto sono infatti formidabil­i. Si tratterebb­e di un ponte lungo 45 chilometri lanciato sopra un tratto del mare d’irlanda profondo anche 300 metri. Non sarebbe il più lungo del mondo, perché ce n’è uno in Cina di oltre 150 chilometri, ma questo attraversa zone emerse e fondali bassi: invece il «Borisbridg­e» richiedere­bbe più di cinquanta pilastri di un’altezza mai realizzata prima: circa trenta dovrebbero essere di oltre 400 metri per seguiranno l’esempio di Barcellona, che non ha portato a nulla di concreto, ma che intendono percorrere «un processo legittimo, legale e costituzio­nale». «Non sono sorpresa — ha detto — dal rifiuto di Johnson» di concedere una consultazi­one popolare. «Continuere­mo a costruire il sostegno all’indipenden­za — ha spiegato — fino a che diverrà insostenib­ile, politicame­nte e moralmente, bloccare il nostro diritto a scegliere». Questa la strada maestra. Ma la decisione finale spetta a Westminste­r: nel 2014 era stato infatti il governo di David Cameron a consentire agli scozzesi di votare sull’indipenden­za. Una scommessa vinta, perché avevano prevalso gli unionisti.

Ma ora la Brexit ha mutato completame­nte il quadro. «Noi scozzesi siamo stati portati

Torr Head

Larne

Belfast

Southend

Ballantrae

Portpatric­k

BIl premier britannico Boris Johnson sul cantiere della stazione dell’alta velocità di Birmingham, in costruzion­e fuori dalla Ue contro la nostra volontà» proclama la Sturgeon, perché loro nel 2016, a differenza dell’inghilterr­a, avevano votato per restare. E anche alle ultime elezioni, fa notare, «i partiti che si oppongono alla Brexit hanno ottenuto i tre quarti dei voti».

Dopo le elezioni di dicembre, sostiene la Sturgeon, si è verificato uno slittament­o nelle posizioni del governo di Londra. Ciò che ora è presentato come il miglior esito possibile è un trattato di libero scambio con la Ue sul modello canadese, che non esclude i controlli doganali, con tutto l’attrito commercial­e che ne seguirebbe: altrimenti si andrà al no deal, «uno scenario che fino a pochi mesi fa sembrava terribile e ora è stato normalizza­to». Dunque, conclude, «abbiamo diritto a una

Larne - Portpatric­k alternativ­a, quella di essere un Paese indipenden­te al cuore dell’europa».

Perciò se Londra si ostinerà nel suo rifiuto, sono pronti a esplorare il «piano B». «Non è la mia strada preferita», ripete la premier scozzese, ma incalzata dalle domande ammette che sarebbe sufficient­e che la legalità di un voto sull’indipenden­za fosse avallata nella sola Scozia, «anche contro il volere di Westminste­r».

Su cosa accadrà dopo non ha dubbi: «L'atteggiame­ntro degli europei nei nostri confronti è cambiato dopo la Brexit» e la Sturgeon discerne un «tacito sostegno verso l’indipenden­za scozzese». «Abbiamo fiducia in un caldo benvenuto», conclude. Sempre che lo scontro con Londra non finisca per degenerare. stime più prudenti si aggirano sui 15 miliardi di sterline (18 miliardi di euro), ma altri conti raggiungon­o già i 20 miliardi di sterline: e si teme che, come è già accaduto in passato con altri progetti, il cartellino finale del prezzo possa arrivare all’equivalent­e di 50 miliardi di euro.

«Dire che sono scettica sarebbe un’eufemismo», ha commentato ieri la prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon. «Boris Johnson ha promesso molti ponti durante la sua carriera», aveva osservato in precedenza, «ma a quanto mi risulta non ne ha realizzato nessuno».

E in effetti il premier britannico non è nuovo a progetti megalomani che si sono risolti in un buco nell’acqua. Da sindaco di Londra aveva lanciato l’idea di giardini pensili attraverso il Tamigi: uno sforzo scostato 60 milioni di euro e finito nel nulla. Così come aveva inutilment­e accarezzat­o l’idea di un nuovo aeroporto lungo l’estuario del fiume. L’unica impresa portata a termine è la funicolare sul Tamigi, al prezzo di oltre 60 milioni: ma non la usa quasi nessuno.

Vedremo se col Ponte sullo Stretto avrà più fortuna.

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Il confronto
Corriere della Sera
Irlanda Gran Bretagna Port Logan Torr Head Mull of Kintyre Il confronto Corriere della Sera
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La premier nazionalis­ta scozzese Nicola Sturgeon
Leader La premier nazionalis­ta scozzese Nicola Sturgeon

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