La Magliana, le slot: «Io ho guadagnato più di un casinò»
Arrestato il boss Nicitra, amico di De Pedis
ROMA L’ombra della mafia, a Roma, spuntò prima ancora che cominciassero a parlarne investigatori e magistrati, quando il figlio undicenne e il fratello di 34 anni furono inghiottiti dalla «lupara bianca». Era il 1993, e quelle sparizioni furono subito abbinate alla figura già ingombrante di Salvatore Nicitra, pregiudicato della provincia di Agrigento, trapiantato nella capitale e collegato alla banda della Magliana. Poi arrivarono i pentiti del clan a descriverne la caratura, ma senza spiegare le ragioni per cui il figlio Domenico pagò da innocente non si sa che cosa: forse una semplice parentela, o l’essersi trovato con lo zio nel momento sbagliato.
«Salvatore Nicitra — raccontò Maurizio Abbatino —, siciliano con trascorsi di rapinatore, già amico di Franco Giuseppucci e referente di Enrico De Pedis per la commercializzazione della droga nella di Roma, condotta dal pubblico ministero Nadia Plastina e coordinata dal capo reggente dell’ufficio Michele Prestipino, ha riannodato i fili del passato con le attività presenti del boss: la gestione delle slot machine che ha sostituito gli antichi guadagni del totonero e del lotto clandestino. E mentre accumulava denaro Nicitra si occupava di riciclarlo e nasconderlo, anche all’estero, per sfuggire a accertamenti e sequestri: «Adesso sto levando i soldi dalle società, sto a leva’ 10-20 mila euro al giorno...».
Il controllo del territorio non è militare e Nicitra lo sin57enne, tetizza così: «Chiariamo subito i ruoli... qua su Roma nord tu non metti un chiodo, e se metti un chiodo devi passa’ prima da me...». Per il passato ci sono vecchi delitti per i quali il boss è sospettato di essere il mandante: quattro morti e un ferito, tra il 1983 e il 1988; per il presente ci sono attentati incendiari per evitare l’apertura di sale-giochi concorrenti. Questione di «regole», valide nei tempi andati e in quelli più recenti, come s’intuisce da un’altra frase del boss: «Tu devi rispettare le gerarchie, non è che puoi fare come cazzo di pare».