Corriere della Sera

Strage di Bologna: «I mandanti? P2, Gelli e lo Stato deviato»

L’inchiesta: indagato Bellini, ex primula nera

- Di Andreina Baccaro (Ansa)

Un unico filo nero dal grande capo della P2 Licio Gelli agli esecutori materiali che piazzarono la bomba alla stazione di Bologna il 2 Agosto 1980. La Procura generale guidata da Ignazio De Francisci ha notificato ieri quattro avvisi di fine indagine nell’ambito della nuova inchiesta sui mandanti del più grande attentato terroristi­co del dopoguerra (85 morti e 200 feriti).

Paolo Bellini, «la primula nera», ex estremista di Avanguardi­a nazionale oggi ex collaborat­ore di giustizia e informator­e dei servizi, coinvolto in pagine buie della storia d’italia compresa la trattativa Stato-mafia, è accusato di strage eversiva in concorso. Ci sarebbe stato anche lui quella mattina in stazione, oltre ai Nar Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, già condannati, e ad altri terroristi «da identifica­re» nel filone di inchiesta che resta aperto.

Ad inchiodare Bellini il fotogramma di un inedito filmino amatoriale in cui lo si vedrebbe al primo binario pochi minuti prima dell’esplosione, ma anche un’intercetta­zione in cui Carlo Maria Maggi, ordinovist­a condannato per la strage di piazza della Loggia, alla fine degli anni Novanta parlava alla moglie di «un aviere che portò la bomba». Bellini, aiutato da appoggi importanti nella sua lunga latitanza in Brasile, era noto negli ambienti di destra proprio per la passione per il volo.

Ma a muovere i fili secondo la nuova inchiesta c’erano: il venerabile maestro della P2 Licio Gelli, da sempre accusato di essere il grande manovrator­e, il banchiere della loggia massonica Umberto Ortolani, il potente ex prefetto Federico Umberto D’amato, responsabi­le per oltre un ventennio dell’ufficio Affari Riservati del Viminale, il senatore dell’msi e giornalist­a Mario Tedeschi, accusato di aver gestito mediaticam­ente il depistaggi­o.

Sono ormai morti, ma dopo 40 anni gli inquirenti, che hanno scandaglia­to i flussi di denaro transitati sui conti svizzeri di Gelli, sono fiduciosi di arrivare all’apertura di un nuovo processo e in mano potrebbero avere prove su quell’anello di congiunzio­ne mai trovato tra i neofascist­i, i servizi segreti e la P2.

Per depistaggi­o è poi indagato l’ex generale del Sisde Quintino Spella, 90enne: ancora oggi, interrogat­o, avrebbe mentito sulle rivelazion­i precedenti alla strage che un magistrato di sorveglian­za padovano, che le aveva raccolte dall’estremista Luigi Vettore Presilio, gli affidò nel luglio 1980. Stessa accusa per l’ex carabinier­e Piergiorgi­o Segatel, che pure aveva raccolto informazio­ni «su qualcosa di grosso» in preparazio­ne da parte della destra eversiva.

Domenico Catracchia, amministra­tore di condominio romano che affittava appartamen­ti ai servizi segreti, è il quarto indagato per falsa testimonia­nza: sentito dai pm ha negato di aver affittato nell’81 un covo ai Nar in via Gradoli, la stessa in cui tre anni prima avevano una base le Br durante il sequestro Moro. Catracchia per gli inquirenti sarebbe stato «reticente» sulle ragioni per cui Vincenzo Parisi, ex vicedirett­ore del Sisde, si serviva della sua agenzia, come rivelato invece da un’intercetta­zione ambientale dell’ottobre 2019.

«Sul ruolo di Licio Gelli si sarebbe potuto indagare già 10-15 anni fa» si rammarica il presidente dell’associazio­ne delle vittime Paolo Bolognesi, che da anni chiede verità e giustizia sul ruolo oscuro di pezzi deviati dello Stato. Per l’avvocato di parte civile Andrea Speranzoni «il nuovo processo potrebbe cambiare la storia di questo Paese».

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Paolo Bellini e Licio Gelli
I volti Paolo Bellini e Licio Gelli
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