Corriere della Sera

DIVENTARE MAMMA E PAPÀ È SEMPRE PIÙ DIFFICILE

Nascite zero Avere figli non è solo un atto privato ma in Italia manca una strategia di sostegno alle famiglie E resta tuttora irrisolta la questione femminile

- di Mauro Magatti

Le ricerche ci dicono che il desiderio di avere dei figli e costituire una famiglia rimane molto popolare tra i giovani. In Italia, secondo i dati forniti dall’osservator­io dell’istituto Toniolo, ancora oggi due ragazzi su tre consideran­o diventare genitori come una dimensione fondamenta­le della propria realizzazi­one. Sappiamo però che le cose vanno in ben altro modo. Secondo i dati appena resi noti dall’istat, nel 2019 in Italia il numero delle nascite zero è stato pari circa a 435.000, meno della metà rispetto ai nati del 1974 e minimo storico dall’unità d’italia. Con un’ulteriore flessione del tasso di fecondità (1,29 figli per donna, fanalino di coda in Europa) e i tanti giovani che lasciano il Paese (in 10 anni abbiamo perso 250.000 giovani), da cinque anni l’italia segna un bilancio demografic­o negativo (nel 2019 -1,9 per 1.000 residenti). Per molti dei nostri giovani l’aspirazion­e a diventare padri e madri è destinata a non realizzars­i mai. O almeno a essere rinviata sine die.

Le ragioni culturali — legate all’instabilit­à delle relazioni affettive — non bastano a spiegare la situazione. L’inverno demografic­o del nostro Paese rivela un grave ritardo nel capire, prima ancora che nel contrastar­e, le cause di una difficoltà che non sta solo penalizzan­do una intera generazion­e, ma anche compromett­endo ogni prospettiv­a di rilancio. L’italia si trova così a vivere in modo particolar­mente acuto uno dei paradossi delle società contempora­nee che, se non governate, finiscono per negare la stessa facoltà di scelta individual­e di cui si riempiono retoricame­nte la bocca. Infatti, le condizioni nelle quali vivono i nostri giovani — dal punto di vista del lavoro (con salari bassi, precarietà persistent­e e percorsi di carriera stentati, specie per le donne in età fertile), della casa (con un mercato immobiliar­e che continua a essere caratteriz­zato da valori sproporzio­nati) e dei servizi (con la scarsità e il costo degli asili nido) — sono tali da rendere molto difficile la decisione

Aspirazion­i Due ragazzi su tre consideran­o fondamenta­le diventare genitori

di formare una famiglia.

Il problema nasce dal fatto che in Italia, più che altrove, ci si ostina a non collocare la questione demografic­a nella giusta cornice. Che è quella della sostenibil­ità integrale, per la quale l’elemento intergener­azionale è essenziale.

Il confronto internazio­nale (in primis con la Francia, dove una politica lungimiran­te ha riportato il tasso di fertilità a 2,01 bambini per donna) mostra chiarament­e che solo un’azione mirata e prolungata permette di affrontare la questione. Se si vuole restituire ai nostri giovani la possibilit­à di scegliere di costruire una famiglia occorre dunque metteabbia re in campo una strategia complessiv­a. Non singole misure spot come si è fatto negli ultimi decenni. Per questo, prima ancora di mettersi a elencare i vari interventi possibili, occorre superare la contesa ideologica (famiglia sì, famiglia no) che ha occupato il dibattito pubblico nel nostro Paese e convenire finalmente su una visione positiva e realista.

In primo luogo, mettere al mondo, accudire e educare i figli non è sempliceme­nte un atto privato, che riguarda chi decide di darlo, ma è una decisione che ha rilievo di interesse generale. Un contributo allo sviluppo della società italiana nella prospettiv­a della sostenibil­ità integrale di lungo periodo.

In secondo luogo, in una società avanzata esistono tanti tipi di famiglia, più o meno stabili. Sappiamo anche, però, che il lavoro di cura è un lavoro difficile che si estende su almeno due decenni. Per quanto oggi un tale compito non possa più essere fatto ricadere solo sulla famiglia – che spesso non è nella condizione di poterlo fare – rimane il fatto che il suo svolgiment­o sia più facile (e meno costoso) se si è in due: è nell’interesse sociale che il nucleo familiare

 Comunità Vale il detto africano secondo il quale «per crescere un bambino ci vuole un villaggio»

una certa stabilità.

In terzo luogo, è in atto nella vita sociale una lenta ma profonda rinegoziaz­ione dei rapporti di genere. Su tanti piani diversi. Da qualunque parte la si voglia prendere, al cuore c’è la questione femminile. Tanto più se si tiene conto che il livello di studio delle ragazze è oggi superiore a quello dei ragazzi. Se non si affronta e si risolve — dentro e fuori la famiglia (a cominciare dall’ambito lavorativo) — la questione femminile, non sarà possibile nessun rilancio. Né economico né demografic­o.

In quarto luogo, la famiglia non è una cellula autosuffic­iente. Non lo è mai stata e lo è ancora meno oggi. Il suo nucleo più intimo può esistere e funzionare solo dentro un ecosistema. E poiché il contesto tradiziona­le (fatto di reti parentali e di vicinato) non esiste più, ne va costruito uno nuovo. Vale qui il vecchio detto africano «per crescere un bambino ci vuole un villaggio». Cioè una comunità. Che oggi va ricostitui­ta tessendo una rete di spazi, contesti, servizi. Quando questo non accade, si arriva al paradosso che il mettere al mondo figli diventa un privilegio di chi sta bene.

Infine, va riconosciu­to e premiato il ruolo educativo della famiglia. Tutto ciò che i genitori spendono per far sviluppare le doti e le capacità dei propri figli — in ambito scolastico, profession­ale, artistico, sportivo e così via — va considerat­o come un investimen­to che ha nel formare persone e cittadini migliori il suo ritorno sociale.

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