Foibe, il dolore non è di parte
«L’ho accompagnato al treno, con la sua valigetta, dove era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesia. Ci siamo abbracciati: era l’ultima volta che lo vedevo». Così Pier Paolo Pasolini ricordò, il 15 luglio 1961, la partenza «per la montagna» del fratello Guidalberto che sarebbe stato ucciso il 12 febbraio 1945 con i partigiani laici, cattolici e socialisti della brigata Osoppo nella strage di Porzûs, compiuta dai partigiani comunisti guidati da Mario «Giacca» Toffanin, alleati dei titini. Ricordando che la Jugoslavia in quei mesi «tendeva ad annettersi l’intero territorio» e che suo fratello «pur iscritto al Partito d’azione, pur intimamente socialista, non poteva accettare che un territorio italiano, come il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo jugoslavo» e «si oppose e lottò» fino «a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c’erano anche italiani (...) le cui idee politiche in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata nazionalistica», lo scrittore, «orgoglioso» di Guidalberto «della sua generosità, della sua passione», concludeva straziato sottolineando quanto la tragedia fosse avvenuta «in una situazione complessa». La stessa parola usata nella legge del 2004 che istituì con voto praticamente unanime «il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Complessa. Certo, è inaccettabile che parte della sinistra abbia per anni rimosso quegli orrori («Appresi del dramma delle foibe solo dopo la svolta della Bolognina. Prima non ne ero mai venuto a conoscenza», arrivò a dire Achille Occhetto) e inaccettabili restano certi manifesti («loro bipartisan /noi per sempre partizan») ancora affissi dai peggiori nostalgici del comunismo. Di più: hanno probabilmente sbagliato i rappresentanti della sinistra ad abbandonare alla piazza destrorsa la cerimonia a Basovizza per protesta contro certi toni usati dai relatori. Ma impossessarsi ogni volta per motivi di bottega, da parte della destra più bellicosa, di un dolore che dopo tanti silenzi e tanti imbarazzi è diventato da tempo collettivo e condiviso, direbbe Fouché, è peggio d’un crimine: è un errore.