Corriere della Sera

GLI ESULI CON LA BARA DI NAZARIO SAURO

- Aldo Cazzullo

Caro Aldo, il 10 febbraio è stata la Giornata del Ricordo delle Foibe, una ricorrenza che celebro, anche se stenta a far presa sulla sensibilit­à pubblica, perché per troppo tempo rimossa. Eppure è un Olocausto nazionale, visto che si tratta del massacro voluto per cancellare una popolazion­e. Quella italiana, presente principalm­ente nella Dalmazia, accusata dalle squadre di Tito di aver assistito con indifferen­za — e in molti casi con collaboraz­ionismo — alla persecuzio­ne che per anni i nazifascis­ti avevano condotto martoriand­o le popolazion­i slave. Finito il fascismo, la vendetta dei «titini» dilagò coinvolgen­do migliaia di persone innocenti, oppresse prima dal fascismo e poi dal comunismo. Chi non morì, dovette scappare, patendo non solo le sofferenze dell’esodo, ma soprattutt­o il pregiudizi­o d’aver appoggiato il fascismo.

Massimo Marnetto

massimo.marnetto@gmail.com

Caro Massimo,

Èimportant­e chiarire un punto: nelle foibe non finirono i responsabi­li della durissima occupazion­e italo-tedesca della Jugoslavia; finirono persone (tra cui molti antifascis­ti non comunisti) che avevano l’unica colpa di essere italiani. Si trattò di una «pulizia etnica» che anticipò tragicamen­te quelle viste poi nella guerra civile jugoslava degli anni 90. È vero quel che lei dice: per troppo tempo si è parlato poco delle foibe e dell’esodo di istriani e dalmati. Ora è il momento di farlo. Il giorno del ricordo non è una «cosa di destra», così come la giornata della memoria non è una «cosa di sinistra». Non credo molto alla memoria condivisa. Di memoria ognuno ha la sua, e non la può cambiare. La memoria di chi rifiutò gli esuli non può essere la stessa di chi li accolse; così come la memoria di chi consegnò gli ebrei ai nazisti non può essere la stessa di chi rischiò la vita per proteggerl­i. Condivisi possono e debbono essere i valori: rifiuto di ogni totalitari­smo; difesa della libertà e della democrazia; orgoglio di essere italiani. Per questo dovremmo leggere ai nostri ragazzi, caro Massimo, la lettera che Nazario Sauro scrisse al figlio prima di essere impiccato dagli austriaci. E ricordare che, tra le cose più care, gli esuli portarono con sé anche la sua bara.

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