La gravità che ci sa sollevare verso l’alto
Che cos’è la pesantezza? E che cos’è la leggerezza? E la duttile trasparenza di una materia, con la sua capacità di lasciar intuire le forme e i colori che contiene, non è più sincera di un’immagine perfettamente a fuoco? L’acqua non ha invece bisogno di domande: è comunque vita, soprattutto quando sgorga da un letto di cera che sembra un sepolcro.
Nei nostri tempi alcuni artisti ci costringono a riflettere. Succede per esempio alla Galleria Nazionale di Roma dove Gregorio Botta (Napoli, 1953: a fianco, sopra) propone la sua mostra Just measuring unconsciousness, curata da Massimo Mininni, in parallelo con Each second is the last di Maria Elisabetta Novello (Vicenza, 1974: a fianco, sotto), a cura di Ilaria Gianni (fino al 13 aprile 2020). Sono due versi della stessa poesia di Emily Dickinson, che significativamente si conclude con un definitivo before the perishing, prima della morte. L’esistenza arriva, ti investe e poi va via. Elegante accenno alla persona cui è dedicata la mostra: la rimpianta critica e storica dell’arte Lea Mattarella.
Partendo di qui, si decodifica con maggiore profondità, per esempio, l’esercizio che Botta propone all’inizio nella stanza Gravitas, una raffica di bacchette di vetro che sostengono altrettante pietre in equilibrio instabile. Accanto, una sottile sbarra di ferro gira su sé stessa mettendo sullo stesso piano di «gravità» un pesante sasso e una diafana coppa di cera. Meglio che il visitatore si abbandoni alla mostra anche senza conoscere l’itinerario tematico proposto da artista e curatore. È giusto che il sentiero lo si trovi lì, alla Galleria Nazionale. Ma le suggestioni da indicare sono tante. Garze, lini, carta velina bruciacchiata e tracce di sangue: l’artista decodifica sul vetro, scrive a mano «esercizi di deposizione». Poi lastre di alabastro e pezzi di cera (in parallelo, per suggerire le stesse potenzialità di due materie) svelano diafane piante, frammenti d’oro, schegge cromatiche. In alcuni casi lo splendore di fiori e foglie diventa un monumento naturale. La vita è effimera, ecco lì la prova. Altra suggestione: dopo le piante della stanza Gravitas, quasi in parallelo l’opera Abbi cura di me, piccole coppe di vetro piene di un’acqua che va continuamente alimentata per poter continuare a riflettersi sulla parete. Bisogna aver cura della bellezza, della vita.
In perfetta sintonia l’itinerario di Maria Elisabetta Novello. Soprattutto l’inizio («Morte vita/ la morte nella vita/ via morte/ la vita nella morte», Carlo Michelstaedter) che è fatto di cenere: le parole si confondono, è la sovrapposizione vita/morte. E in Sopralluoghi si comprende il parallelo tra i due artisti: polveri, foglie e petali di piccole carte, colori. Il tempo è passato, ha lasciato le sue tracce.di poesia, di meraviglia, anche di amore. Perché la morte non cancella tutto, è una parte della vita. Lo dimostra quella cenere che «parla».
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