Corriere della Sera

Il talento di Bong Joon-ho in un thriller che sorprende

Il regista coreano che ha rivoluzion­ato gli Oscar dal giallo al ritratto sociale

- Il film del Mereghetti

Il vento dell’est, che ha rivoluzion­ato l’assegnazio­ne degli Oscar con quattro statuette vinte per la prima volta da un film coreano, ha aperto le porte anche a un’altra regia di Bong Joon-ho, recuperata dalla distribuzi­one Academytwo già responsabi­le dell’arrivo in Italia di Parasite. Si tratta di Memorie di un assassino (in originale Salinui chueok, del 2003), secondo la rivista inglese Sight&sound «uno dei film chiave del primo decennio del XXI secolo», premiato per la sceneggiat­ura al Festival di Torino, quando era ancora diretto da Roberto Turigliatt­o e Giulia D’agnolo Vallan, e fino a ieri reperibile (con qualche difficoltà) solo in dvd.

Adesso, sul grande schermo, si offre in tutta la sua bellezza, permettend­o così allo spettatore non solo di apprezzare più a fondo il lavoro del regista Bong ma soprattutt­o di addentrars­i meglio nella conoscenza del cinema coreano, uno dei più prolifici al mondo. Ma anche dei più sorprenden­ti per i numerosi cambi di tono (presenti anche in Parasite), l’intreccio tra i generi e una recitazion­e lontanissi­ma dai canoni occidental­i. Memorie di un assassino inizia come un giallo. In una cittadina di provincia, si cominciano a rinvenire cadaveri di giovinette stuprate: una prima volta in un canale d’irrigazion­e agricola, poi in campo aperto. Tutte sono state legate e imbavaglia­te con la propria biancheria intima, un sasso in bocca per impedir loro di parlare prima di essere violentate e uccise. E la sera del delitto il cielo era immancabil­mente piovoso. Siamo nel 1983, la Corea è ancora un Paese profondame­nte classista, dove la polizia conserva un potere quasi intangibil­e e chi finisce nelle sue mani non se la vede mai bene.

Succede così anche ai sospetti che il detective Park (Song Kang-ho) e il suo assistente Cho (Kim Roe-ha) vanno a cercare tra i minorati e i pervertiti della zona. Convinto di saper riconoscer­e gli assassini dagli occhi (bisogna aggiungere che i fatti gli daranno naturalmen­te torto?), Park pensa che i colpevoli debbano necessaria­mente nasconders­i tra i rifiuti della società: prima un poveraccio con evidenti ritardi mentali, poi un feticista che sfoga nell’onanismo le sue repression­i, entrambi da umiliare quando non apertament­e da torturare (i metodi d’interrogat­orio fanno rimpianger­e quelli della Gestapo) e soprattutt­o da indirizzar­e verso confession­i che non hanno niente di spontaneo.

Perché questa discesa verso un realismo crudo e violento? Per spostare l’obiettivo dal film di genere al quadro sociale, dall’inchiesta poliziesca a un più ampio ritratto della società coreana. Per questo entrano in scena anche un detective decisament­e meno sbrigativo e venuto da Seul (Kim Sang-kyung) insieme a una specie di «coro» fatto di giornalist­i televisivi e della carta stampata con funzioni di «contropote­re». E mentre i reporter hanno il compito, nell’economia del racconto, di ribadire un qualche tipo di sguardo «morale» (arrivano anche a far sostituire un capufficio della polizia, troppo compromess­o con le torture dei detenuti), il detective indirizza l’inchiesta verso una possibile soluzione, con l’aiuto (metaforica­mente significat­ivo) di una semplice sergente della polizia (Ko Seohie), l’unica che sembra capace di cogliere i segnali che vengono dalla realtà.

Così, verso la metà del film, Bong (che ha scritto la sceneggiat­ura con Shim Sung-bo a partire dal romanzo Come and See Me di Kim Gwangrim) sembra voler abbandonar­e la trama gialla per aprirsi verso una descrizion­e corale e contraddit­toria della Corea (del Sud), povera e repressiva ma anche violenteme­nte maschilist­a, che vive un complesso di inferiorit­à verso gli Stati Uniti (il mito della Cia, quello dell’analisi del Dna) e si trova a fare i conti con un Male incomprens­ibile e sfuggente, da cui rischiano di essere sempre sconfitti (guardate la scena del confronti a tre nella galleria ferroviari­a).

Ma dove le persone riescono, anche se a fatica, a emancipars­i grazie a un processo di lenta maturazion­e. Che un finale ambientato nel 2003 si permette di rimettere in discussion­e con un ultimo, doloroso sberleffo.

"La storia di una cittadina di provincia segnata da delitti misteriosi: in scena detective, un coro di reporter e una realtà maschilist­a

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Una scena di «Memorie di un assassino», film diretto da Bong Joon-ho nel 2003 che esce per la prima volta nelle nostre sale. La pellicola inizia come un giallo ma mescola i generi. E’ la storia di una cittadina in cui si cominciano a rinvenire cadaveri di ragazze stuprate
Indagini Una scena di «Memorie di un assassino», film diretto da Bong Joon-ho nel 2003 che esce per la prima volta nelle nostre sale. La pellicola inizia come un giallo ma mescola i generi. E’ la storia di una cittadina in cui si cominciano a rinvenire cadaveri di ragazze stuprate
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