«La svolta del venture capital? Può arrivare dalle assicurazioni»
Cipolletta (Aifi): le compagnie investano, il rischio si gestisce
«I numeri sono buoni, ci avviciniamo agli altri Paesi stranieri. Per il futuro ci aspettiamo che il settore della previdenza cominci a puntare su questi asset e che gli atenei si dotino di strutture apposite per entrare nelle startup».
Il 2019 si è chiuso in Italia con 148 operazioni di venture capital per un controvalore di 650 milioni circa: erano 102 l’anno prima per 521 milioni. Il numero uno di Aifi, Innocenzo Cipolletta, vede la strada dell’innovazione dispiegarsi verso orizzonti più chiari. Ieri alle Ogr di Torino ha presentato i nuovi dati del Venture capital monitor di fronte all’intera filiera dell’hitech, da Invitalia a Cassa Depositi e Prestiti, dal Fondo Europeo per gli Investimenti a Intesa Sanpaolo alle fondazioni Crt e Compagnia di San Paolo.
L’italia si accorge delle startup e dell’importanza di scommetterci su.
«I dati sono buoni. Cominciamo ad avvicinarci alla cifra obiettivo dei 900 milioni di euro l’anno, che è poi quella degli altri Paesi. La strada però è lunga, l’altro traguardo infatti è coinvolgere investitori maggiori, dato che il loro numero è ancora limitato».
Perché?
«Perché siamo andati avanti con una generazione di operatori di venture capital che non è cresciuta, ma è rimasta piccola e i nuovi se si propongono lo fanno con una dimensione inferiore. Poi abbiamo investitori istituzionali restii a dedicarsi al venture perché è meno liquido in asset class e più rischioso: meno risparmio convogliato in questo comparto significa meno operatori che se lo contendono. Invece bisogna invertire la tendenza».
d
Il venture capital non è un mestiere per il piccolo risparmiatore
Come si fa in un Paese votato a gestire la liquidità con enorme prudenza?
«Aumentando il volume dei finanziamenti. L’impegno di Cdp con il Fondo innovazione rappresenta un elemento nuovo nel 2020-21 che potrebbe consentire un salto in avanti. Se è vero che circa un miliardo di euro verrà riversato su questo settore, allora possono nascere nuovi operatori».
Le dimensioni dei singoli volumi restano limitate.
«Questo non è un mestiere per il piccolo risparmiatore, ma per family office o per un signore con 50 milioni di patrimonio che ha voglia di investirne 5. Semmai è un asset per il segmento previdenziale e assicurativo, che oggi latita. Capisco di nuovo l’elemento di rischiosità, ma perché allora non lo si limita investendo in un fondo di fondi? Ecco perché ci aspettiamo che il mondo della previdenza diventi un nuovo player».
Quali sono stati i settori target?
«Ict e biomedicale, i due che tirano di più nel mondo».
Poca meccanica, invece.
«Ma la meccanica prende l’innovazione dall’ict. Piuttosto, quello che non abbiamo è una nuova meccanica, a parte la robotica che sta crescendo in quanto tale. L’ict è molto trasversale, per cui non vedo elementi di preoccupazione».
Perché gli interventi delle università restano marginali nel venture capital?
«In Italia non sono organizzate gerarchicamente e il rettore con il suo cda non ha una percezione della capacità innovativa del suo ateneo, dunque non si regola per cercare finanziamenti. Sarebbe necessaria una struttura per il trasferimento tecnologico che consenta agli atenei di avventurarsi nelle startup e al contempo trarne benefici».
d
Ci aspettiamo che il mondo della previdenza diventi un player