Corriere della Sera

EMISSIONI ZERO COSÌ È POSSIBILE

Nel 2006 l’economista Nick Stern denunciò, per primo, i danni dell’effetto serra. Ma oggi è ottimista: la Ue detta la linea, negli Usa l’industria traina la svolta verde

- di Elena Comelli

Sarà un anno cruciale per il clima. Nick Stern, l’economista inglese che per primo lanciò l’allarme, con lo Stern Review, del 2006, sui costi salatissim­i dell’effetto serra, definendol­o «il più grave fallimento del libero mercato», ne è convinto. Oggi Stern dirige il Centro di ricerca sul clima della London School of Economics e insiste sulla necessità di far pagare i danni delle emissioni a chi ne è la causa.

Sono passati quasi 15 anni. Che cosa è cambiato?

«Il senso di urgenza. Oggi i danni li vedono tutti. Siamo ormai al limite delle temperatur­e tollerabil­i per il tipo di civiltà umana che conosciamo. Già con un grado in più rispetto all’epoca pre-industrial­e, i cambiament­i sono violenti. Basta osservare gli incendi in California o in Australia, l’intensità degli uragani, lo scioglimen­to dei ghiacci in Antartide. Sono conseguenz­e di una portata anche superiore a quella che ci aspettavam­o».

Rimane una forte resistenza a ridurre i gas serra.

«Sappiamo tutti che bisogna ridurre a zero le emissioni e che bisogna farlo rapidament­e, in una trentina d’anni. È una consapevol­ezza diffusa nell’opinione pubblica, nella politica e nell’industria. Questa chiarezza, espressa anche nell’accordo di Parigi, e che si rispecchia nel Green New Deal europeo, è importante».

Dopo Parigi, però, c’è stato un riflusso, dovuto anche alla nuova amministra­zione Usa. È cambiato il vento?

«Dipende dove si guarda. I due Paesi centrali per il futuro del clima sono la Cina e l’india. La Cina è il primo emettitore mondiale e si dice che abbia intenzione d’inserire nel prossimo piano quinquenna­le l’obiettivo di zero emissioni al 2050. Tutto sta a vedere quale visione prevarrà, se si vorrà perseguire la crescita con sistemi vecchi o nuovi».

E l’europa? Manterrà un ruolo leader nello sviluppo sostenibil­e? A Madrid abbiamo fallito.

«Quest’anno, con la Cop 26, si potrà rimediare. È un appuntamen­to importante, con la Gran Bretagna e l’italia unite nell’organizzaz­ione dei lavori, a partire dalla Pre Cop, a Milano in settembre insieme alla Youth Cop. Vedremo poi come vanno a finire le elezioni Usa. Qualsiasi risultato sarebbe meglio dell’amministra­zione attuale, ma non dimentichi­amo che gli Usa sono

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fatti anche di un sistema industrial­e che è complessiv­amente molto impegnato nel taglio delle emissioni».

Nel Rapporto propose la carbon tax. È sempre valida?

«Resto convinto della bontà delle misure proposte allora, come la carbon tax, che sta contribuen­do allo smantellam­ento delle centrali a carbone in Europa. Ma servono anche misure dirette, come quelle che si prendono in molte città europee, a partire da Parigi, per liberare i centri urbani dalle macchine e restituirl­i ai pedoni e alle bici. Ci vogliono divieti per fare chiarezza. Il Regno Unito ha intenzione di vietare la vendita di veicoli a endocombus­tione a partire dal 2035. Misure come queste danno certezze agli investitor­i».

Quindici anni non sono passati invano.

«La consapevol­ezza dei rischi e la comprensio­ne delle misure per contrastar­li sono molto più profonde. Lo vediamo dai movimenti giovanili. I ragazzi arrivano oggi in classe con una visione molto più chiara rispetto a dieci anni fa. Lo vediamo anche nell’industria. Chi avrebbe mai immaginato che nel giro di pochi anni tutte le grandi case automobili­stiche si sarebbero convinte della fine dell’epoca del motore a scoppio? Che i costi dell’energia solare si sarebbero ridotti di dieci volte e lo stesso per l’eolico? La tecnologia ci consente di fare molto per il clima».

È ottimista?

«Molto più di dieci anni fa, rispetto a quello che siamo in grado di fare per fermare l’emergenza clima. Ma ho ancora forti dubbi sulla volontà politica di farlo e di portarlo a termine rapidament­e. Abbiamo pochissimo tempo».

corriere.it/ economia

Senso di urgenza Oggi i danni li vedono tutti. Siamo al limite delle temperatur­e tollerabil­i per noi

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A Brandeburg­o Un laghetto in secca e, sullo sfondo, una centrale elettrica alimentata a lignite. La Germania dismetterà questi impianti entro il 2038
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