Svolta a Kabul? Verso l’accordo tra gli scontri
Ad ascoltare le dichiarazioni la svolta in Afghanistan è vicina. I talebani dichiarano che entro fine mese sarà firmato un accordo di principio con gli Usa, in questi giorni si sta perfezionando la bozza. Gli americani mostrano cauto ottimismo mescolato agli avvertimenti sulle sfide future. La musica insiste su queste due note da settimane, dopo i colloqui in Qatar. Nel frattempo gli scontri continuano. E se è ovvio essendoci una battaglia, lo è un po’ meno davanti agli impegni dei contendenti. Per dimostrare buona volontà le parti hanno concordato un periodo di riduzione della violenza: una finestra temporale di una settimana che dovrebbe iniziare tra cinque giorni. Una sorta di prova in un teatro sempre complesso. Il Paese vive una guerra infinita, composta da fasi diverse, compresa quella scattata dopo l’intervento a guida Usa per sloggiare il regime pro-al Qaeda dopo l’11 settembre 2001. Il conflitto più lungo che Donald Trump e i suoi partner vogliono chiudere o quantomeno sperano di uscirne lasciando poi gli afghani a risolvere i loro guai. La volontà di andarsene si mescola alle incertezze. C’è chi teme un ritorno in grande stile degli eredi di Bin Laden, così come un trionfo totale degli insorti, già padroni di molte regioni. Con un esercito locale spesso in difficoltà, che deve guardare oltre le mura degli avamposti e badare alle sue spalle, dentro zone in teoria protette. Le sorprese sono frequenti. Molti i casi dove i soldati sparano sui loro commilitoni e su quelli alleati perché agenti in sonno dei talebani oppure per ragioni «personali». L’ultimo episodio pochi giorni fa, due membri delle forze speciali Usa uccisi in una base. E gli altri attori mossi dai rispettivi interessi: pachistani, iraniani, indiani, cinesi, russi. Crepe nella sicurezza sommate alle difficoltà politiche. Solo ieri è stata riconosciuta la vittoria elettorale del presidente Ashraf Ghani (foto). Ci sono voluti mesi per l’annuncio dopo accuse di brogli del rivale Abdullah Abdullah. Che ha respinto il verdetto definendosi il vero vincitore e creerà così un governo parallelo.