Aosta e il voto anticipato per la ’ndrangheta «Cose che ci infangano»
Inchieste e dimissioni, Regionali fissate il 19 aprile
AOSTA In Italia esiste una regione chiusa per ’ndrangheta. Non un negozio, non un’attività commerciale. Un territorio abitato, famoso per le montagne e le sue stazioni sciistiche.
A cento chilometri da Torino, 185 da Milano, ai bordi dell’operoso Nord industriale. La Valle d’aosta torna a votare dopo appena due anni. La giunta uscita dalle elezioni del maggio 2018 è stata spazzata via come un fuscello da due inchieste sulle infiltrazioni mafiose, sui patti che la politica locale avrebbe stretto con gli esponenti di spicco dei clan attivi nella Vallée, da tempo non più verde.
Ci sarebbe bisogno di fare un riassunto delle puntate precedenti. Nel gennaio del 2019 l’indagine denominata «Geenna» aveva rivelato trame, accordi, e soprattutto il metodo. A Saint Pierre, appena fuori Aosta, anche il servizio di trasporto scolastico, l’autobus dei bimbi insomma, era stato affidato al cugino di un affiliato della ’ndrangheta, nonostante ci fossero altre aziende che offrivano all’amministrazione un prezzo e una qualità migliori. Alla fine dello stesso anno è venuto giù tutto, con il già traballante presidente regionale Antonio Fosson costretto alle dimissioni da una nuova inchiesta, seguito da due suoi assessori e un altro consigliere, accusati a vario titolo di aver acquistato pacchetti di voti ai tavoli di ristoranti gestiti e affollati dai capi delle «locali» aostane. Prima di parlare, si premuravano che fosse acceso il macina caffè, chissà mai che ci fossero delle intercettazioni ambientali in corso. Ma forse è solo la storia che si ripete. Quando Rosy Bindi, allora presidente della Commissiotre na Antimafia, denunciò nel 2018 l’esistenza di una trentennale «pax valdotaine» fondata «sulla compiacenza di operatori economici, classe dirigente e mafie», i vertici della politica locale le diedero della visionaria, nel più gentile dei casi. Mancavano pochi mesi al crollo del sistema.
In piazza Chanoux, nel centro di Aosta, non hanno neppure fatto in tempo a smontare i pannelli elettorali che è già ora di usarli nuovamente. Si voterà il prossimo 19 aprile. L’annuncio è arrivato ieri. Le ultime settimane, spese nel tentativo di salvare la legislatura, sono trascorse in un’atmosfera surreale. Non appena qualcuno si faceva avanti dicendosi disponibile a puntellare la maggioranza autonomista, ecco che il suo nome spuntava dalle carte delle varie inchieste che a loro volta hanno prodotto decine di al
indagini. La resa è arrivata non per mancanza di volontà, ma di personale politico al di sopra di ogni sospetto. Ieri ad Aosta era tutto un «non al telefono», «lontano da occhi indiscreti che le spiego». Renzo Testolin, presidente ad interim in quota Union Valdôtaine, il partito autonomista che ha governato la regione fin dagli albori, contesta sintesi a suo giudizio troppo severe. «In una realtà piccola come la nostra certe situazioni colpiscono e fanno male. Ci infangano e ci obbligano a farci delle domande. Ma ricondurre tutto alla ’ndrangheta è riduttivo. Andiamo a votare anche perché la frammentazione in Consiglio è ormai ingestibile».
Eppure, quando le parole che spiegano meglio «la situazione» sono dei carabinieri che hanno svolto le indagini, significa che c’è un problema, e bello grosso. «Lo stato dell’infiltrazione ’ndranghetista nel tessuto politico, amministrativo e istituzionale è sempre più inquietante», scrivono in una annotazione depositata al processo Geenna. La discussione pubblica della classe dirigente valdostana verte intanto sul sesso degli angeli, ovvero se quelle presenti in Valle d’aosta possano definirsi davvero come cosche, perché non commettono più reati da associazione mafiosa, ma si limitano a ottenere vantaggi illeciti dalla politica. Come se trent’anni di analisi sulle nuove mafie fossero passati invano.
Fulvio Centoz, attuale sindaco di Aosta, appare nelle carte delle inchieste come una mosca bianca, l’unico che a quei pranzi elettorali si è sempre rifiutato di andarci, rifiutando appoggi elettorali di provenienza incerta. «Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo dovuto fare i conti con
I carabinieri
«È sempre più inquietante lo stato dell’infiltrazione nel tessuto politico»
una realtà sottovalutata dalla politica. Alla fine è vero che il livello di coinvolgimento della politica nelle inchieste ha impedito ogni ipotesi di nuovo governo regionale. Spero che tanti miei colleghi capiscano che è possibile denunciare, senza voltarsi come hanno fatto in troppi». Alla fine i cambiamenti sono sempre indotti dai comportamenti individuali. Basterebbe dire no. Vale ovunque. Anche nella Valle d’aosta che finge di non vedere la propria umiliazione e la propria sconfitta.