Il ritorno delle forme «Il mio power dressing Qui la taglia non conta»
Antonio Berardi e l’effetto marmo per Marina Rinaldi
«Quando una donna è a suo agio in un vestito, la taglia è come se non esistesse». È la filosofia di Antonio Berardi, stilista inglese di origini italianissime, che ha firmato la capsule FW 2020/21 — una decina di pezzi più gli accessori — di Marina Rinaldi, brand del gruppo Max Mara specializzato in abiti oltre la 46, che verrà presentata alla Fashion Week di Milano. L’intento? Celebrare l’attitudine (dolce, ma al contempo seducente) di interpretare la moda della madre siciliana, Concettina. «L’invito a disegnare per il brand — osserva lo stilista — mi ha reso felice perché ricordo ancora la gioia di mia mamma quando, da ragazzo, le regalavo i vestiti di Marina Rinaldi. Sia io che il brand, poi, apprezziamo con la stessa consapevolezza le curve femminili: in tutta la mia carriera non sono mai stato attratto dalle tendenze che mortificano il corpo delle donne o che propongono canoni estetici irraggiungibili. Nonostante, fino a qualche anno fa, utilizzare una modella curvy o flashy (vistosa) in una sfilata sembrasse quantomeno eccentrico. Eppure, ai tempi delle prime grandi top model (da Claudia Schiffer a Cindy Crawford, fino a Naomi Campbell e Gisele) le taglie “normali” erano la 42 e la 44. Oggi la fisicità delle donne è cambiata e quello che veramente si vende va dalla 44 in poi. Le ragazze, fortunatamente, desiderano un corpo snello ma formoso, sulla scia dei social come Instragram. È un cambiamento forte e positivo».
L’amarcord di Berardi riprende dagli armadi trucchi e segreti (a cominciare, dall’effetto della carta fiorentina marmorizzata e profumata che un tempo foderava i cassetti delle signore usata dallo stilista come fonte d’ispirazione grafica e con effetto wow nella collezione) di una femminilità antica e impeccabile nella sua sensuale sobrietà. E nella quale, oltre ai colori (dal french blue al rosso, fino all’intramontabile nero), sono i dettagli inaspettati a fare la differenza: i medaglioni con le monete, i coralli portafortuna che sfiorano le caviglie per renderle più sexy, i lacci delle maglie che accompagnano le silhouette degli abiti, i guanti da portare con gioielli a catena (rigorosamente da una parte sola), la lingerie di pizzo. «Sono tutti piccoli micropensieri — spiega Berardi — di come, una volta, si vestiva una donna. Pensando a mia mamma, infatti, quello che mi rimane di più non è lo stile, ma il rito con cui si preparava e come percepiva il suo guardaroba. Marina Rinaldi, in questo senso, è stata tra i pionieri del power dressing, perché le donne si comperavano abiti talmente belli da riuscire ad esprimere un ruolo attraverso un vestito». I non mancano nuovi progetti: «In futuro — conclude lo stilista — ci sarà sicuramente un secondo giro: ci siamo trovati troppo bene insieme per non continuare».