Corriere della Sera

Campari, la sede in Olanda «Puntiamo al polo europeo»

Kunze-concewitz: governance che tutela i soci e la crescita della società

- di Daniela Polizzi

La Davide Campari trasloca in Olanda. Ma solo la sede legale. Tutto il resto — dai 50 marchi di spirits, agli stabilimen­ti fino alla storica sede di Sesto San Giovanni — rimarrà in Italia. Perno dell’operazione, alla quale il ceo Bob Kunze-concewitz e il presidente Luca Garavoglia lavorano dall’autunno, è l’adozione del meccanismo di voto maggiorato, potenziato rispetto a quello previsto dalla normativa italiana, già adottato dalla società.

Dopo l’assemblea del 27 marzo che dovrà ratificare il passaggio e il cambiament­o della ragione sociale in Davide Campari Milano NV, il peso degli azionisti di lungo periodo, a partire dalla famiglia Garavoglia, socia con il 51%, potrà essere molto maggiore. «Anima e cuore restano italiani ma la sede legale in Olanda ci consentirà di giocare un ruolo da protagonis­ta su un mercato frammentat­o ma che si consolida», dice il ceo. «Se fin qui abbiamo speso al massimo 684 milioni per un’acquisizio­ne come Grand Marnier ora possiamo pensare a operazioni da alcuni miliardi». L’annuncio arriva dopo l’approvazio­ne del bilancio 2019, chiuso con ricavi in crescita del 7,6% a 1.842,5 e utile netto in aumento del 7,3% a 267,4 milioni.

Ma non avreste potuto fare qualcosa di analogo restando in Italia?

«Non proprio in questi termini. La legge consente di attribuire il voto maggiorato agli azionisti “fedeli” per almeno due anni nella misura massima del voto doppio. Con il trasferime­nto in Olanda questi azionisti potranno invece ricevere 2, 5 e 10 voti per ciascuna azione detenuta per un periodo rispettiva­mente di 2, 5 e 10 anni. Il meccanismo premia tutti gli azionisti di lungo termine. Questo strumento è la chiave per aprire ad alleanze strategich­e, anche con gruppi più grandi di Campari. In caso di aggregazio­ni, il peso degli azionisti di lungo termine diventa maggiore. La struttura di capitale sarà più flessibile».

Quindi la famiglia Garavoglia conferma l’impegno?

«La famiglia ha sostenuto questa operazione proprio perché ha una visione imprendito­riale di lungo termine. Rimarrà perché ama quest’azienda. Una passione contraccam­biata da un total shareholde­r return (dividendi e rendimento del titolo, ndr) del 16% medio dalla quotazione, più alto dei nostri concorrent­i. Basta poi pensare che l’azienda ha reinvestit­o tre quarti dell’utile, solo il 20-25% è andato in dividendo».

Quindi per chi ha ambizioni di crescita l’ordinament­o italiano va stretto?

«L’italia offre un sistema di voto maggiorato che siamo stati i primi ad adottare a gennaio 2015. Per una multinazio­nale a controllo familiare la strada per poter continuare a crescere su un mercato sempre più competitiv­o su scala globale porta verso operazioni di questo tipo. Peraltro nel nostro settore ci sono numerosi casi di aziende che hanno fatto ricorso a strumenti analoghi, tra cui la francese Pernod Ricard, che è grande sei volte rispetto a noi, e le americane Constellat­ion Brands e Brown Forman».

Quindi le tasse continuere­te a pagarle in Italia?

«La residenza fiscale resta nel Paese quindi anche le imposte continuera­nno a essere versate al fisco italiano. Anche il Consiglio di amministra­zione resterà lo stesso. Solo le assemblee si terranno ad Amsterdam».

Quali gli impatti su organizzaz­ione e lavoratori?

«Non ci sarà alcuna conseguenz­a su stabilimen­ti, organizzaz­ione e gestione dell’attività in Italia. E non è contemplat­o alcun trasferime­nto di asset, top manager o lavoratori del gruppo. La società conserverà la propria personalit­à giuridica senza impatti sui rapporti con i propri dipendenti che resteranno regolati dalla legge italiana. Anche l’headquarte­r rimarrà a Sesto San Giovanni, sede storica della società che adesso compie 160 anni».

Resterete quotati a Piazza Affari?

«Le azioni della società resteranno quotate esclusivam­ente a Milano dove dall’ipo del 2001 la capitalizz­azione è cresciuta 12 volte. L’italia per noi è un mercato cruciale, è la nostra storia, la nostra identità, quel made in Italy che noi portiamo nel mondo. Prendiamo l’aperol, che da solo vale il 18% del nostro fatturato globale, o Campari, che pesa per il 10%».

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La sede fiscale resta in Italia e le imposte continuera­nno a essere versate in Italia

Altri gruppi italiani hanno varato trasferime­nti analoghi. Per esempio Mediaset.

«È evidente che in operazioni di questo tipo c’è sempre la volontà di crescere. I dieci protagonis­ti negli spirits hanno solo il 15% del mercato a volume e il 25-30% a valore e quindi c’è spazio per aumentare la taglia, indispensa­bile per presentars­i più forti nella grande distribuzi­one e nei bar, in un mercato sempre più competitiv­o. In 25 anni abbiamo realizzato 30 acquisizio­ni per un valore di oltre 3 miliardi di euro, tra queste Wild Turkey, Glen Grant, Appleton Estate, Skyy Vodka. È una strategia in continuità con quel che abbiamo fatto fin qui, la differenza ora è che ci siamo attrezzati per una scala più grande».

d Le azioni resteranno quotate esclusivam­ente a Milano e il quartier generale a Sesto

Quanto bisogna investire per crescere?

«Molto e con continuità. L’anno scorso abbiamo speso circa 560 milioni tra investimen­ti industrial­i, di marketing e le acquisizio­ni, l’ultima delle quali, il nostro distributo­re francese, che si chiuderà la prossima settimana. Gli Stati Uniti, che già valgono il 27% dei ricavi, l’europa e gli altri mercati sviluppati sono il nostro obiettivo. Abbiamo anche un piano di lungo termine per la crescita in Asia».

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La galleria Campari nel quartier generale del gruppo a Sesto San Giovanni
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Bob Kunzeconce­witz, di cittadinan­za austriaca, nato a Istanbul nel 1967, è l’amministra­tore delegato di Campari dal 2007
Il ceo Bob Kunzeconce­witz, di cittadinan­za austriaca, nato a Istanbul nel 1967, è l’amministra­tore delegato di Campari dal 2007

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