Corriere della Sera

Spinta dell’industria alimentare Ma serve accelerare sull’export

Nomisma-centromarc­a. Mutti: ora aggregazio­ni. De Castro: la via dei consorzi

- di Michelange­lo Borrillo

MILANO Un pilastro dell’economia italiana che, però, può e deve crescere di più. Sul mercato interno, all’estero, e come dimensioni aziendali. È questa la fotografia fatta all’industria alimentare italiana da Nomisma, Centromarc­a e Associazio­ne industrie beni di consumo. Uno studio dal quale emerge che nel decennio 2008-2018 la crescita dell’industria alimentare italiana è stata trainata dall’export (+67%, balzo inferiore solo a quello del comparto farmaceuti­co), a fronte di un mercato interno ancora molto importante ma in cui la crescita dei consumi nello stesso intervallo di tempo si è fermata al 13% (+17% per il fatturato).

Che la filiera agroalimen­tare sia un pilastro dell’economia italiana lo confermano i 140 miliardi di euro di valore aggiunto del 2018, con il 20% generato dall’industria alimentare; ma la propension­e all’export e il numero delle imprese esportatri­ci è ancora basso, direttamen­te collegato alle dimensioni, nel senso che man mano che aumenta la dimensione delle imprese, aumenta anche la propension­e. Nonostante la crescita del 67% nel decennio, l’export alimentare italiano in miliardi (34,8 nel 2018) resta ancora inferiore non solo a quello degli Usa (60,3) ma anche a quello di Germania (58,7), Paesi Bassi (54,2) e Francia (45,5). «Uno degli ostacoli al maggiore sviluppo dell’export — spiega Francesco Mutti, amministra­tore delegato di Mutti e presidente di Centromarc­a — è la dimensione aziendale. Le nostre aziende sono sottodimen­sionate rispetto a quelle di Germania, Francia e Spagna. Questo permette alla Germania, che non ha nel food un elemento di forza, di avere aziende più strutturat­e in grado di affrontare i mercati stranieri con potenziali­tà superiori rispetto all’italia. Come può un’azienda di 9 dipendenti pensare all’estero? Per questo bisogna facilitare le aggregazio­ni». In Italia, evidenzia lo studio, le imprese alimentari con oltre 50 addetti rappresent­ano solo l’1,8% del totale, in Germania il 13%. E quelle con più di 350 milioni di fatturato sono solo 49, lo 0,1% del totale, che però nel 2018 hanno generato un fatturato di 50,9 miliardi.

Anche per Denis Pantini, responsabi­le del settore agroalimen­tare di Nomisma, in un mercato globale le dimensioni contano sempre di più. Da qui l’importanza di una maggiore integrazio­ne e di rapporti commercial­i all’insegna della massima correttezz­a. Quella a cui punta la direttiva Ue 2019/633 che si propone di salvaguard­are le aziende agricole e le imprese agroalimen­tari da pratiche commercial­i sleali. Il relatore Paolo De Castro, europarlam­entare del Pd, sottolinea, però, la differenza dell’importanza delle dimensioni a seconda dei comparti: «Per il vino la dimensione è meno fondamenta­le, lo è sicurament­e l’ortofrutta. Ma basterebbe­ro anche dei consorzi, come per le mele in Trentino. Purtroppo, soprattutt­o al Sud, resta la ritrosia a fare squadra».

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 ??  ?? ● Francesco Mutti, amministra­tore delegato di Mutti e presidente di Centromarc­a e Paolo De Castro, (in basso) europarlam­entare del Partito democratic­o
● Francesco Mutti, amministra­tore delegato di Mutti e presidente di Centromarc­a e Paolo De Castro, (in basso) europarlam­entare del Partito democratic­o
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