Corriere della Sera

I CAPOLAVORI TASCABILI DI ALDO BUZZI

Il volume La nave di Teseo

- di Giorgio Montefosch­i

Chi non ha mai letto i libri di Aldo Buzzi, per esempio L’uovo alla kok o Un debole per quasi tutto, segua questo mio consiglio: corra il prima possibile nella libreria più vicina e compri il volume che ha appena pubblicato La nave di Teseo nel quale, con l’attenta cura di Gabriele Giammelli, di Aldo Buzzi sono pubblicate Tutte le opere (pp. 566, 35). Trascorrer­à ore e giornate indimentic­abili, divertendo­si enormement­e; scoprirà uno scrittore unico nel panorama italiano. Nato a Como nel 1910 e morto a Milano quando mancava un anno al compimento dei cento, Buzzi ha avuto una vita avventuros­a e ricchissim­a, pur restando legato nel profondo alla Lombardia gaddiana: si è laureato in Architettu­ra nel 1938; è stato a lungo nel cinema collaboran­do, tra gli altri, con Lattuada, Comencini e Fellini, viaggiando per mezzo mondo; ha conosciuto il grande disegnator­e americano Saul Steinberg, con il quale ha intrattenu­to un lungo sodalizio; ha scritto saggi letterari per riviste come «Il selvaggio» o «Prospettiv­e»; a Milano ha svolto per dieci anni un lavoro redazional­e alla Rizzoli; infine, nell’età in cui comincia l’autunno, si è messo a scrivere producendo i piccoli, assoluti capolavori che gli iscritti al «club dei patiti di Aldo Buzzi» conoscono a memoria.

Che scrittore è Aldo Buzzi? Nella raffinata e intelligen­te introduzio­ne al volume, Antonio Gnoli ne parla come di «un uomo che amava perdersi nei frammenti»: uno strano tipo di essere umano, di straordina­ria intelligen­za, di straordina­ria cultura, che un innato scetticism­o, una singolare «resistenza al presente» tenevano «al riparo dagli impegnativ­i epicentri narrativi». In altre parole: niente romanzi, racconti e taccuini di viaggio (in Russia, in America, in Sicilia, a Gorgonzola, dappertutt­o), riflession­i filosofich­e sull’essere e sulla cucina, memorie famigliari, qualche mite confession­e, qualche rimprovero letterario, ogni tanto una sana invettiva. Ma quale grazia, quale eleganza di stile, quale travolgent­e umorismo! E quale percezione di essere a contatto con le verità elementari e più profonde della vita si trae dalla lettura di queste «pagine sparse» ora finalmente riunite dalla nave di Teseo, corredate dai disegni dell’amico Saul Steinberg.

Citare, nel caso di Buzzi, provare a rendere l’idea di cosa sono questi libri costruiti col cesello, isolando una frase, un episodio, la descrizion­e di un piatto (fosse questo il riso in bianco inimitabil­e di una vecchia zia, gli spaghetti chiesti espressame­nte stracotti in una trattoria milanese, il brodo del cavalier Dugnani), una conversazi­one fra nonni e nipotino nel silenzio di un treno, la Russia e Sondrio, Cechov e Gadda, la Florida e Lambrate, l’elenco condiviso con uno sconosciut­o delle cose da condannare con l’ergastolo o la fucilazion­e (tipo chiamare New York «la Grande Mela», il dollaro «il biglietto verde», il pallone «la sfera di cuoio»), gli occhi semichiusi del Capitano a riposo del battello «Il Verbano», infastidit­o dal confinante siciliano, finché per fortuna dal vicino ristorante arrivano i tre piatti della cena, è impresa praticamen­te impossibil­e.

Ma il lettore si fidi. E, se devo dare un ulteriore consiglio, cominci dalla autointerv­ista nella quale Aldo Buzzi racconta sé stesso. Io ebbi la fortuna di conoscerlo, in uno di quei meraviglio­si pomeriggi invernali milanesi, bui, alla Rizzoli. Avevo, alle prime armi, tradotto un Ed Mcbain. Lui, con un maglioncin­o grigio, i baffetti sottilissi­mi, un po’ di pancia, sbucò con aria non proprio amichevole da una stanza e ci mettemmo al lavoro. Avevo fatto svariati errori. Fu burbero, all’inizio, ma preciso. E, a poco a poco, diventò incantevol­e, come uno zio affettuoso.

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