Le armi tecniche della pianista Rana esaltano la platea
Ancora così giovane ma già così affermata, Beatrice Rana, classe 1993, incuriosisce oggi come non moltissimi altri musicisti: ogni disco è un successo, ogni concerto fa il tutto esaurito. Così anche alla stagione della Filarmonica della Scala per il Concerto n.4 di Beethoven, che esegue sotto l’esperta e complice direzione di Fabio Luisi.
Si percepiscono subito due cose: in primo luogo che la ragazza vanta personalità musicale autentica e un suono tutto suo; secondariamente, che possiede un tale arsenale di armi tecniche da potersi permettere di seguire ogni linea interpretativa, senza esserne condizionata.
Quella che sceglie per il Quarto, a tutta prima può affascinare ma si rivela poi discutibile però, per quanto (o proprio perché) perseguita con estrema coerenza. È una linea interiorizzata oltre le aspettative, persino estenuata nel tempo lento, discorsiva come private confidenze nei tempi di cornice. L’opera non è particolarmente «eroica», certo. Basta osservare la forma ossuta dell’incipit per accorgersene. Richiede comunque più nerbo, più vita, più dramma meno colloquialità. Ed ha un qualcosa di nobile e cavalleresco che la lettura di Rana lascia un po’ ai margini.
Notevoli e molto apprezzati dal pubblico i due bis concessi dalla pianista pugliese: una
Romanza di Schumann e una danza dalla Partita n.1 di Bach.
La palla passa poi nelle mani di Fabio Luisi. In questi anni sta realizzando, un passo alla volta, un’entusiasmante immersione nel mare profondo del sinfonismo di Anton Bruckner. E questa è la volta della Sinfonia n.2, detta «delle pause», che fa bene Luisi a eseguire misurate, per quanto tale artificio segna il profilo architettonico dell’ampia costruzione. Nei programmi da concerto in Italia questa Sinfonia non è nemmeno rara, è inesistente. La Filarmonica della Scala non l’aveva mai eseguita. La matassa si dipana salda però. L’orchestra è anche più esatta che in Beethoven. L’opera fa breccia, lo si percepisce chiaramente. Luisi poi sa esaltarne il lirismo: un tanto di colore mediterraneo, un tanto di Sehnsucht alla Schubert non guastano, quand’anche si abbia l’aspettativa di un suono più «tedesco», livido e scuro.
Del resto, la musica di Bruckner è troppo al di là delle etichette in cui si cerca di ingabbiarla. E se si evita la retorica — Luisi non corre questo rischio — rende plausibili più ipotesi di lettura. Moltissimi applausi a Rana, moltissimi applausi a Luisi.