La folle scelta del giovane Borg seguire la strada tracciata dal padre
Leo, 16 anni, ha esordito ieri tra i pro
Più top spin, meno carisma. Gli stessi polpacci affilati, il naso a punta identico. Sotto, appostata tra labbro e narici, una peluria chiara, troppo timida per spuntare rigogliosa. E poi la camminata: passi svelti sotto spalle curve da giocatore di hockey imploso, quasi scivolando sul veloce del palazzetto, primo turno del challenger di Bergamo (46.600 euro di montepremi), prove tecniche di paragoni ridanciani e vita infelice.
Si chiama Borg, Leo Borg. È nato 16 anni fa dal matrimonio tra l’orso e Patricia Ostfeld, terza moglie dello svedese che sedusse e abbandonò il tennis, lasciandosi alle spalle 11 Slam, il ricordo scolpito nell’erba di un mitologico tie break con Mcenroe (Wimbledon ‘80: 34 punti), un amico romano (Adriano Panatta, l’unico capace di batterlo a Parigi), suggestioni, rimpianti. Se è vero che Patricia pianse quando Leo a 10 anni le si sedette in grembo per annunciare che da grande avrebbe fatto il tennista (il ragazzo non smentisce e non conferma: «Ero troppo piccolo per ricordare»), abbiamo
● Bjorn Borg, svedese, 63 anni, è stato uno dei più grandi tennisti di sempre
● Tra gli anni 70 e i primi 80 ha vinto 11 titoli del Grande Slam compresi 5 titoli consecutivi a Wimbledon dal '76 all’80
● Leo, 16 anni, è il figlio che ha avuto dalla terza moglie, Patricia Ostfeld una misura del futuro che attende il numero 98 del ranking mondiale Under 18, invitato a Bergamo con wild card («Molto sollecitata dalla società di management svedese che rappresenta Borg junior» racconta Marco Fermi, direttore del torneo) ed eliminato ieri dal taiwanese Chunhsin Tseng, un millennial che non ha la più pallida idea di cosa abbia significato per il tennis il padre del biondino con lo sguardo malinconico rispedito a casa in due set.
Centoquindici spettatori, contati, inclusi giudici e raccattapalle, hanno assistito al debutto nel professionismo del figlio d’arte che ha scelto l’unico mestiere che gli era vivamente sconsigliato dal buonsenso e da Freud. «Ho sperato che facesse il calciatore, persino il giocatore di baseball: ci saremmo evitati i confronti» ha raccontato la mamma (assente a Bergamo) al New York Times. E invece no, per mano a Edipo e a un coach svedese di nome Rickard Billing, Leo si è avventurato con sprezzo del pericolo lungo i tornanti di una carriera che, per quanto possa essere fortunata («Sogno di diventare numero 1 del mondo» dice fedele
d Papà? L’ho sentito anche prima di entrare in campo, mi ha detto divertiti e impara dal tuo avversario
d Non ho mai visto le sue partite. Il mio idolo è Nadal, uno che lotta su ogni punto. Spero di fare del tennis un mestiere