Corriere della Sera

Finisce un’era per i ragazzi che sperimenta­vano Londra Gli inglesi li sostituira­nno?

Milioni di italiani hanno lavorato nei bar: servono ancora

- di Beppe Severgnini

P ossiamo chiamarlo il gioco dell’oca britannica. Si torna al punto di partenza, dopo molti anni: back to square one. Dal 1°gennaio 2021 i lavoratori stranieri — anche quelli che provengono dalla Ue — dovranno conoscere l‘inglese ed essere in possesso di un contratto di lavoro, per entrare nel Regno Unito. Come negli Anni 60.

Sono appena rientrato dall’inghilterr­a, e ho scritto un «diario post Brexit» che uscirà su 7 Corriere il 27 febbraio. Parte dall’incontro con Sergio Poletti, classe 1940, che possiede tre ristoranti a Chester. Era arrivato a Liverpool come cameriere a 22 anni, dalla Lunigiana; si è presentato all’hotel Adelphi, intimorito davanti alle porte girevoli. Aveva un contratto di lavoro; se l’avesse perso, sarebbe dovuto rientrare in Italia. Tutto come un tempo. Come se 47 anni nella Comunità/unione Europea fossero un colpo di vento. Era prevedibil­e: l’idea di «riprendere il controllo dei confini» stava al cuore della propaganda di Brexit, e ha portato alla vittoria nel referendum del 2016 .

Le nuove regole prevedono corsie preferenzi­ali per scienziati e talenti. Ma per i milioni di ragazzi italiani ed europei che in questi anni hanno sperimenta­to Londra — la metropoli più vitale d’europa, anche grazie a loro — tra dieci mesi cambierà tutto. Non potranno più riempire un trolley, salutare i genitori e partire. Tutto sarà regolament­ato.

Il nuovo sistema rischia di avere conseguenz­e pesanti anche sul Regno Unito: la sanità, l’edilizia e la ristorazio­ne britannica sono vissute — e fiorite — anche grazie ai giovani europei. Così i servizi, finanza compresa. Non c’è cantiere senza un polacco; gli italiani lavorano con successo in ristoranti, bar, negozi. Al Reform Club, di cui sono socio dal 1986, nei giorni scorsi mi è capitato di conversare con chi lavora lì: una russa, un bulgaro, due italiani, due marocchini. Al bar, una ventiduenn­e tedesca con i capelli corti, appena arrivata e felice di conoscere Londra da dentro.

Accade lo stesso in tutto il

Regno Unito. L’immigrazio­ne europea ha sostituito quella dall’impero. Spesso ai nuovi arrivati si offrono contratti e salari modesti. Ma dentro quell’offerta sta una cosa importante: la possibilit­à di conoscere altri ragazzi e ragazze, la lingua inglese, la prima casa da soli. Londra ha finito per diventare la scuola di formazione d’europa, un’ironia che i Brexiters, presi dalle proprie nostalgie, non hanno mai colto. L’esercito dei giovani lavapiatti stranieri dei ristoranti della capitale — non sempre scuole di generosità e pulizia — mostrava una sua nobiltà. Dimostrava che tanti ragazzi di nazioni diverse potevano condivider­e un pezzo di vita, una città.

Come verranno rimpiazzat­i tutti i lavoratori europei non qualificat­i? Se i giovani europei perderanno molto, la Gran Bretagna rischia di perdere di più. La libera circolazio­ne delle persone ha garantito finora manodopera duttile, giovane, spesso di talento, a costi competitiv­i. Dove sono gli inglesi che possono fare tutto questo? Good luck, Britain: ne avrai bisogno.

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