Pay tv pirata, scoperti 223 utenti Rischiano pene fino a otto anni
Indagini in tutta Italia, al vaglio altri 800 abbonati. La Lega Calcio: «Svolta epocale»
Per la prima volta un’inchiesta sulla pirateria audiotelevisiva colpisce non soltanto le organizzazioni che gestiscono la trasmissione illegale dei programmi tv a pagamento, ma gli utenti che ne usufruiscono.
Un’inchiesta della Guardia di Finanza, condotta dal nucleo speciale beni e servizi, ha portato all’individuazione e alla denuncia di 223 persone che dovranno rispondere di ricettazione e violazione della legge sul diritto d’autore e rischiano multe fino a 25 mila euro e condanne fino a otto anni di carcere.
L’indagine è stata lunga e complessa, e soprattutto vastissima: il lavoro investigativo delle Fiamme gialle ha portato infatti all’apertura di fascicoli giudiziari in sessantasette Procure sull’intero territorio nazionale. Soltanto in Valle d’aosta non sono stati individuati utenti illegali, in tutte le altre regioni, invece, sono emersi casi ora al vaglio della magistratura.
Tutte le principali piattaforme a pagamento sono state violate: Sky, Dazn, Netflix, in passato Mediaset Premium. Persino Spotify, che consente di scaricare musica e creare playlist personalizzate.
I risultati investigativi disegnano lo scenario di una vera industria della pirateria, con canali commerciali e tecnologie 4.0 che hanno completamente trasformato il sistema di diffusione delle attrezzature necessarie per poter accedere, pagando soltanto 10 euro al mese, a un vasto pacchetto di servizi per i quali bisognerebbe invece sottoscrivere singoli abbonamenti.
Il vecchio pezzotto, l’apparecchio che veniva collegato al televisore e consentiva di decodificare il segnale delle pay tv, è ormai un oggetto del secolo scorso. Oggi le organizzazioni che gestiscono la pirateria vendono codici, stringhe di numeri e lettere che viaggiano online, meglio ancora sfruttando le crittografie di Whatsapp o Telegram. Gruppi chiusi costituiti su Facebook e siti-vetrina guidano i clienti fino alla stipula del contratto. Perché di contratti si tratta, e bisogna usare i verbi al presente, visto che la stessa Guardia di Finanza è convinta di aver assestato un duro colpo ma certo di non aver smantellato l’organizzazione. Innanzitutto perché si sta ancora indagando per individuare la centrale di trasmissione dei dati, raccolti tramite abbonamenti legali e poi distribuiti attraverso l’internet protocol television, sistema anch’esso legale ma che i maghi della pirateria piegano alle loro esigenze.
E anche a fronte dei 223 utenti denunciati, ce ne sono altri ottocento circa sui quali si stanno facendo ancora accertamenti. Tutti presunti clienti di una moderna azienda che offre pagamenti online con carta di credito, magari garantendo anche la tutela dei dati sensibili. Ma a proteggere riferimenti bancari e codici CVV qui c’è una organizzazione criminale che di quel ben di dio di informazioni può fare in qualsiasi momento gli usi più spregiudicati.
Centinaia di persone, quindi, non solo si trovano oggi addosso pesanti accuse dalle quali dovranno difendersi in tribunale, ma presto potrebbero anche scoprire di avere la carta di credito clonata o di aver subito un accesso abusivo sul proprio conto corrente.
Ma la pirateria i danni veri li ha fatti a chi ne è stato vittima. Come la Lega di serie A, che ha nei diritti tv il principale introito, o come l’anica. Per l’industria del calcio e quella del cinema oggi è un giorno felice. «Siamo di fronte a una svolta epocale», dice Luigi De Siervo, a.d. della Lega. E Francesco Rutelli, presidente di Anica: «Questa operazione pone l’italia in prima linea contro la pirateria».
I rischi All’organizzazione criminale i clienti hanno affidato codici bancari e dati sensibili