Il killer tedesco che voleva sterminare tutti gli stranieri
Porto d’armi, posto in banca. Viveva con la mamma: l’ha uccisa
Tobias Rathjen, il killer tedesco della strage di Hanau, gestiva un sito dove postava le sue farneticazioni. Nel suo «manifesto» sciorinava tutta la sua insofferenza per la presenza di stranieri che «mettevano in pericolo la Germania».
Paranoico, razzista, suprematista, certo, ma non clandestino, né trasparente: Tobias Rathjen gestiva dall’agosto scorso addirittura un sito, oscurato poche ore dopo la strage, dove postava le sue farneticazioni e assicurava che, se fosse esistito un pulsante per annientare «certi africani, asiatici e mediorientali», lo avrebbe premuto volentieri, senza esitazioni. Nel suo «manifesto» di 24 pagine non annunciava esplicitamente intenzioni omicide, ma sciorinava tutta la sua insofferenza per la massiccia presenza di stranieri che «mettevano in pericolo la Germania» e la cui espulsione non sarebbe stata sufficiente. Occorrevano «una pulizia di massima» e «una pulizia finale». E gli immigrati non erano i soli invasori che agitavano i suoi incubi. Avvertiva attorno a sé spie e fantasmi che lo seguivano, lo controllavano e tentavano di penetrare nel suo cervello e di impadronirsi dei suoi pensieri.
Aveva scritto al procuratore di Hanau, la cittadina di novantamila abitanti a 20 chilometri da Francoforte, dove abitava, e al procuratore federale di Karlsruhe, denunciando di essere sorvegliato da misteriose organizzazioni segrete. Si era rivolto a investigatori privati, tra i quali un austriaco di Neukirchen, con il quale ha mantenuto i contatti fino al 6 gennaio scorso, per essere aiutato a smascherare i suoi invisibili pedinatori. Non ha ovviamente seguito il consiglio del detective di rivolgersi piuttosto a un buon psichiatra e ha continuato ad alimentare le sue manie di persecuzione, il suo odio per le minoranze etniche, la mitomania che lo spingeva ad accusare Donald Trump di avergli scientemente scippato lo slogan «America first».
Una settimana fa si era rivolto in inglese, attraverso Youtube, proprio al popolo americano, esortandolo ad aprire gli occhi, organizzarsi e lanciare l’assalto a basi militari segrete che, negli Stati Uniti, «celebrano il diavolo in persona, abusano, torturano e uccidono i bambini». La presenza di forze oscure in grado di leggere addirittura nella mente sembra fosse una delle fissazioni che l’uomo diffondeva via web, assieme all’allarme per l’esistenza di una vasta rete di complotti gestita dai servizi di intelligence e alle sue idee xenofobe.
Eppure Tobias Rathjen, iscritto a un’associazione di cacciatori, possedeva legalmente tre pistole: la Glock 17 calibro 9 Luger che ha scaricato mercoledì sera contro i clienti dei due shisha bar curdi, una Sig Sauer e una Walther, tutte acquistate via Internet. Era membro di una società di tiro a segno a Bergenenkheim da otto anni, e il suo porto d’armi è stato rinnovato appena l’anno scorso. L’amministrazione del distretto Main-kinzig di Gelnhausen aveva stabilito la sua idoneità, nonostante i controlli, tra i più severi in Europa, che regolano in Germania il possesso di armi da fuoco. E nonostante il monitoraggio da parte delle autorità sia aumentato dopo il massacro di Winnenden nel 2009 (16 vittime compreso il giovanissimo assassino) e l’assalto a un centro commerciale di Monaco del luglio 2016, quando un diciottenne tedesco di origini iraniane in preda a deliri sulla purezza ariana, sparò e uccise 9 persone, ferendone altre 36.
Tobias è arrivato a 43 anni covando inosservato le sue ossessioni e le sue fobie. Abitava con i genitori in una villetta a schiera di Helmholtzstrasse, in un quartiere piuttosto anonimo e modesto alla periferia di Hanau. Tra decine di casette identiche bianche o grigie, a un piano e con un pezzetto di giardino, una tettoia di mattoni rossi identifica l’ingresso dell’abitazione dei Rathjen, transennato dalla polizia per proteggere l’andirivieni degli agenti della Scientifica.
I vicini sapevano che era in
L’attacco è conseguenza della crescente islamofobia. Sono fiducioso che le autorità tedesche compiano ogni sforzo per fare chiarezza sulla strage Recep Tayyip Erdogan presidente della Turchia
Le farneticazioni Da agosto aveva un sito contro «certi africani, asiatici e mediorientali»
L’investigatore
Si era rivolto a un detective per scoprire chi lo seguiva. Lui gli suggerì uno psichiatra
casa quando vedevano parcheggiata la sua Bmw nera, ma avevano rare occasioni di incrociarlo o di scambiare con lui qualche parola. E mai nessuno lo ha visto in compagnia di una ragazza: «Non posso avere una moglie né una fidanzata», si lamentava online, riferendosi sempre alla sua certezza di essere circondato da ostili segugi.
Ancora non è chiaro il momento in cui la sua vita è deragliata dai binari della normalità. Nato ad Hanau nel 1977, Tobias Rathjen aveva frequentato una scuola locale lasciando sbiaditi ricordi nella maggioranza dei suoi compagni di classe. Il suo destino sembrava quello di un tranquillo lavoro in banca, dopo aver conseguito il suo titolo in business management all’università di Bayreuth nella primavera del 2007. Come un bravo studente qualsiasi.