Corriere della Sera

I capolavori di Villa Panza ritrovano il «loro» posto

Varese Riapre oggi la dimora del Fai e per due mesi viene allestita secondo le visioni del conte di Biumo

- Dal nostro inviato Pierluigi Panza

VARESE La casa del collezioni­sta come l’aveva pensata lui. A vent’anni dalla donazione di Villa Menafoglio Litta al Fai, e a dieci dalla scomparsa dell’ultimo proprietar­io, il conte Giuseppe Panza, da oggi a fine aprile (quando si inaugurerà una mostra su Günther Forg) la grande dimora settecente­sca trasformat­a in scrigno dell’arte moderna americana sarà allestita secondo il progetto pensato dal suo collezioni­sta. Panza di Biumo, infatti, ha lasciato appunti di come stava disponendo le opere, che per due mesi saranno al «loro» posto in una villa sgombra da mostre. La collezione permanente (le opere sono di proprietà del Guggenheim in prestito al Fai) viene dunque, per la prima volta, presentata secondo il palinsesto che il collezioni­sta aveva ideato. «Per noi è un modo straordina­rio di ricordare Panza di Biumo e i vent’anni di attività del Fai nella villa che ci ha donato e che parla direttamen­te di lui», afferma il presidente, Andrea Carandini. Rispetto a quanto colleziona­to da Panza di Biumo sono stati aggiunti, però, dieci pezzi donati da ciascun artista che ha esposto qui una mostra site-specific; ad eccezione dello straordina­rio Ganzfeld di James Turrell, per il quale si pensa di realizzare una collocazio­ne ipogea.

Il percorso, chiamato Villa Panza. Un’idea assoluta è di rarefatta eleganza ma, rispetto al silenzioso astrattism­o dei soli monocromi, è diventato di molteplici­tà emozionale. La prima icona, quasi dechirichi­ana, è ora il Cone of water del cortile, che riflette il loggiato aperto a perdita d’occhio sul parco.

Al primo piano sono posizionat­i i monocromi di Philip Sims, i lavori, quasi caravagges­chi, di Ford Beckman in dialogo oppositivo con le fragilissi­me architettu­re organiche di Christian Lhor. Già queste richiamano a un impegno per il Fai: il problema della conservazi­one dell’arte contempora­nea, fatta anche di materiali non durevoli. Problema che si pone pure per i neon del Varese Corridor di Dan Flavin. «La conservazi­one della villa è molto impegnativ­a», racconta la direttrice Anna Bernardini. Ma se per le effloresce­nze sulla volta del Salone Impero il restauro può seguire procedure consolidat­e, per l’arte contempora­nea si va verso l’ignoto, «siamo intervenut­i sui reattori e sui neon del Varese Corridor in accordo con la Dan Flavin Estate, e sulla Casina di Bob Wilson», dalla quale la sua voce legge versi di Rainer Maria Rilke, il poeta più amato dal collezioni­sta così come, tra gli artisti, amava Mark Rothko. «Eravamo molto amici», ricorda la vedova Panza di Biumo, signora Giovanna, che ha condiviso i sogni del marito facendo, al contempo, cinque figli messi in posa in ordine di altezza in una foto nello studiolo del primo piano, a fianco a quella di matrimonio.

Non è la casa-casa, con rubinetti e lavandini quella che si visita, ma una dimora che stava già diventando museo dove sono esposti i telai che si ribellano alla parete di Allan Graham, le trame fatte a mano come dei mantra di Max Cole, i cubetti di Stuart Arends e i finish-fetish del california­no Mccracken. Nelle due stanze di Ettore Spalletti, con mistiche acquasanti­ere alla Beato Angelico, c’era, in realtà, la camera da letto. Ma questa villa è uno spazio vivo, in trasformaz­ione, come dimostra la stanza sonora di Michael

Brewster — dove il rumore diventa spazio — o il trittico «fotografic­o» dalla mostra America del 2015 di Wim Wenders.

«A lui sarebbe piaciuta vederla così — assicura la vedova —. Aveva già realizzato parte di questo progetto. Era un uomo discreto, calmo, studiava molto e penetrava le cose. Andava dal passato verso il futuro. Scoprire gli artisti voleva dire per noi scoprire il pensiero della nostra epoca. In Italia ebbe dapprima poco riconoscim­ento, poi anche soddisfazi­oni. Sono contenta di quanto portato avanti dal Fai».

Aggiunge Giuseppina, la figlia: «Ci portava a vedere i musei di arte antica, ma non ci spiegava la contempora­nea. Crescevamo con Oldenburg, Reimann e mettevamo i giocattoli sotto la Sposa di Rauschenbe­rg, che faceva paura. La scelta dei suoi artisti può apparire ripetitiva, ma li si apprezza meglio se si torna a vederli, come faceva lui al Moma o a Los Angeles. Il suo studiolo era il suo pensatoio, le opere d’arte i suoi figli».

La famiglia

La vedova del collezioni­sta: a mio marito sarebbe piaciuta la casa così

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Varese Corridor di Dan Flavin (1933-1996) e altri artisti a Villa Panza
Il Varese Corridor di Dan Flavin (1933-1996) e altri artisti a Villa Panza
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