Corriere della Sera

«Mercedes aspettava un bimbo era lì soltanto per portare la cena»

Lo strazio della madre della ragazza, tra le 9 vittime della strage razzista in Germania

- dalla nostra inviata a Hanau Elisabetta Rosaspina

Ci sono ancora troppe lacune nella ricostruzi­one di vita, azioni e ossessioni di Tobias Rathjen, 43 anni, l’ex impiegato di banca che mercoledì sera ha seminato la morte in due shisha bar di Hanau (a 20 chilometri da Francofort­e), frequentat­i soprattutt­o da immigrati mediorient­ali, per restituire la città alla «pura razza ariana». Dopo aver ucciso 9 persone, l’uomo è tornato a casa, ha sparato alla madre Gabriela, 72 anni, risparmiat­o il padre, Hansgerd, 73, e rivolto la calibro 9 contro se stesso. Tobias disponeva legalmente di tre pistole, malgrado vagheggias­se lo sterminio di africani, asiatici e mediorient­ali in Germania, e avesse inviato lettere farnetican­ti alle procure.

Se mercoledì sera non si fosse assentato un paio d’ore dall’arena Cafè per andare a festeggiar­e il compleanno di un’amica, Jack ora non sarebbe qui a descrivere la scena apocalitti­ca che si è presentata ai suoi occhi quando è ritornato, ignaro di tutto, al shisha bar del padre. Non credeva ai suoi occhi: «C’era un cadavere nell’auto parcheggia­ta di fronte. E altri corpi insanguina­ti per terra, nel locale. Li conoscevo tutti. È morto mio zio, Gökhan. Non è davvero mio zio, ma è come se lo fosse. Lavorava con noi da tanto tempo. Mercedes era venuta soltanto per portarci la cena. Non doveva essere qui».

Lei non doveva esserci, lui sì. E la madre di Jack, una colombiana divorziata da un turco e vissuta a Roma (dov’è nato suo figlio) non può che ringraziar­e l’imperscrut­abile volontà del fato: «Ma capisco e soffro per i genitori di quelli che non hanno avuto la mia stessa fortuna — si affretta ad aggiungere Abaned che, per altri complicati intrecci famigliari, ha un nome di origini arabe e un fratello domiciliat­o ad Alghero —. Gökhan faceva parte della famiglia, viveva qui da vent’anni». L’età di Jack, che ha lasciato l’italia a 8 anni e ormai si sente più tedesco che turco o sudamerica­no. E comunque, fino a mercoledì sera, non pensava pol’aria tesse diventare una questione di vita o di morte.

Kesselstad­t è un quartiere così, un miscuglio di etnie, nazionalit­à, idiomi che fino a tre giorni fa pareva pacifico. Ci si conosce e capisce in quell’affollata torre di Babele. Una città nella città, popolata da rom (ma qui si preferisce definirli «sinti»), polacchi, bosniaci, curdi, afghani. L’arena Cafè non era soltanto il ritrovo serale dei fumatori di narghilè: «Di giorno entrava anche qualche tedesco a bersi una birra o a comprare le sigarette» testimonia Iñaki che da Vitoria Gasteiz, nei Paesi Baschi, si è trasferito anni fa ad Hanau per trovare lavoro alla Dunlop. Una serie di etichette adesive in varie lingue e alfabeti segnala che da qui partivano anche le rimesse verso i Paesi d’origine. Una mano ha tracciato sulla vetrina un messaggio di pace in tedesco: «Il nostro amore è più forte del vostro odio».

è lacerata da un urlo spaventoso: è la madre di Mercedes Kierpacz, la ragazza sinti-polacca falciata assieme al bimbo che portava in grembo. La donna è venuta a vedere il luogo in cui ha perso la figlia e un nipotino mai nato. La trascinano via quando sta per crollare sul piccolo altare di fiori e lumini cui Johann, un pensionato tedesco, ha cercato invano di contribuir­e. Niente da fare: il vento spegne immancabil­mente la fiammella. «Io me lo ricordo bene Tobias — rivela Abaned, prima di dileguarsi all’improvviso, come se la disperazio­ne dell’altra madre le rinfaccias­se la tortura cui lei è miracolosa­mente scampata —. Abito a qualche casa di distanza, in Helmholtzs­trasse, a cinque minuti da qui. Lo incontravo spesso al supermerca­to, sempre solo. Non sorrideva mai, non salutava nessuno. Adesso ho capito che odiava a morte questo quartiere». Simbolo

Xenofobia e pazzia Al centro culturale turco-curdo, la storia del pazzo solitario non convince

della promiscuit­à che aborriva tra «ariani» e «razze impure». Secondo il giornale Bild, che ha rintraccia­to uno dei suoi rari amici d’un tempo, Tobias si era isolato dopo un infortunio al ginocchio che aveva stroncato le sue ambizioni calcistich­e e aveva lasciato il posto in banca perché scontento dello stipendio. Viveva con i genitori, nella cameretta in cui era cresciuto, rimuginand­o ossessioni e ansia di vendetta. Un malato mentale, per gli investigat­ori.

Ma a pochi chilometri di distanza, nella sede del centro culturale turco-curdo, la storia del pazzo solitario non convince. Quasi metà delle vittime appartenev­ano alla comunità, che da tempo si sente in pericolo: «Esistono gruppi clandestin­i di estrema destra, già responsabi­li di altri attacchi razzisti, la polizia lo sa», ricorda Nazim Turan.

 ??  ?? Fiori e veglia Mazzi di fiori per le vittime della strage ad Hanau. Ieri sera si è tenuta una veglia anche a Berlino(afp)
Volti e nomi Alcune vittime della strage di Hanau a opera di un estremista neonazista:
1 Bilal Gokce, turco; 2 Mercedes Kierpacz, sinti; 3 Ferhat Unvar, curdo;
4 Sedat Gurbuz, turco; 5 Said Nessar al Hashimi, afghano; 6 Hamza Kurtovic, bosniaca; 7 Gokhan Gultekin, curdo
Fiori e veglia Mazzi di fiori per le vittime della strage ad Hanau. Ieri sera si è tenuta una veglia anche a Berlino(afp) Volti e nomi Alcune vittime della strage di Hanau a opera di un estremista neonazista: 1 Bilal Gokce, turco; 2 Mercedes Kierpacz, sinti; 3 Ferhat Unvar, curdo; 4 Sedat Gurbuz, turco; 5 Said Nessar al Hashimi, afghano; 6 Hamza Kurtovic, bosniaca; 7 Gokhan Gultekin, curdo
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