L’EUROPA CERCA SPAZIO NELL’ECONOMIA DEI DATI
Informatica e sviluppo La dimensione per affrontare la partita digitale creando un’alternativa ai modelli della Cina e degli Usa è inevitabilmente quella continentale
L’
Europa è un cantiere aperto: dopo i documenti sull’european Green Deal e quelli sulla riforma delle regole fiscali, il 19 febbraio la Commissione ha presentato la strategia europea per l’economia dei dati, il libro bianco sull’intelligenza artificiale e la comunicazione sul futuro digitale dell’europa. Sono molteplici i profili dell’economia dei big data presi in considerazione, i quali paiono affrontare un problema di fondo: come mantenere la sovranità digitale in Europa?
I dati sono, già oggi, una risorsa fondamentale per l’economia e per i consumatori, aumentando la produttività e l’efficienza delle imprese, alimentando lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e consentendo la personalizzazione dei servizi, da quando un’offerta commerciale ci raggiunge sul nostro schermo a quando ci avvaliamo dei servizi di medicina personalizzata. Quando si svilupperà pienamente l’«internet delle cose», attraverso la connessione di miliardi di oggetti, dalle autovetture agli elettrodomestici di casa, dalle reti di fornitura di elettricità ai sensori che rilevano i dati climatici o il flusso del traffico urbano, il volume dei dati prodotti nel mondo crescerà ulteriormente, passando dai 33 zettabytes del 2018 agli attesi 175 zettabytes del 2025 (uno zettabyte corrisponde a circa 180 milioni di volte le documentazioni conservate nella biblioteca del Congresso degli Stati Uniti!). Ma l’immagazzinamento e il processo di questa enorme quantità di dati, per ottenere una profilazione sempre più accurata di ciascun consumatore, per fare previsioni sempre più attendibili nei campi più disparati, dai consumi personali alle dinamiche dei mercati finanziari, per indirizzare un’informazione costruita sulla singola persona e capace di condizionarne il comportamento, sia nella sfera economica che in quella politica, sono nelle mani degli operatori di poche piattaforme. Si tratta dei giganti della rete, come Google, Apple,
Obiettivo La Commissione punta a far sì che per il 2030 la nostra quota sul mercato corrisponda al nostro peso economico
Facebook e Amazon, che non sono imprese europee ma che trattano e immagazzinano i dati prodotti in Europa. Sono i medesimi operatori che controllano i cloud in cui questi dati sono custoditi: Amazon ha il 33% del mercato mondiale, Microsoft il 18%, Google l’8%, Ibm il 6%. Qual è il livello di confidenzialità di questi dati effettivamente garantito? Interrogativo che è divenuto più pressante dopo che nel novembre 2019 il Wall Street Journal ha rilevato che Google cedeva i dati riguardanti la salute di milioni di americani a Ascension, un corezza, losso della sanità americana, e dopo che nel 2018 il Congresso ha approvato il Cloud Act che autorizza le forze di polizia e i servizi di sicurezza a accedere, in presenza del sospetto di un crimine o di una minaccia terroristica, ai dati custoditi dagli operatori americani in qualsiasi parte del mondo. Ma a parte ciò, se i dati hanno un grande valore economico e una sicura utilità per la società, c’è l’esigenza che le imprese e le società europee traggano vantaggio dai dati prodotti in Europa e che questi siano trattati in maniera tale da garantire i valori costituzionali comuni ai popoli europei, per esempio impedendo
Fondi Occorrono ingenti investimenti: nel cloud le imprese Usa hanno investito 150 miliardi di dollari in dieci anni
che possano essere impiegati con effetti discriminatori a danno di alcuni gruppi.
L’obiettivo della Commissione è quello di costruire uno «spazio europeo dei dati», e cioè di fare in modo che entro il 2030 la quota dell’europa nell’economia dei dati – conservati, processati, utilizzati – corrisponda al suo peso economico. Si tratta di costruire, sulla base di una scelta politica precisa, un mercato europeo dei dati, aperto ai dati provenienti da tutto il mondo, che contemperi l’ampiezza dei flussi e degli usi dei dati con la tutela della loro sicudella privacy, del rispetto di fondamentali standard etici, ed anche con la garanzia del consumatore e di una concorrenza effettiva. Per raggiungere questo risultato ci vogliono regole adeguate, ma anche ingenti investimenti, tenendo presente che le imprese americane hanno investito solamente nel cloud circa 150 miliardi di dollari nell’ultimo decennio. Per creare i giusti incentivi occorrono forti economie di scala, che rendono inadeguata la dimensione nazionale e rendono indispensabile un unico mercato europeo.
Al riguardo va ricordato che il 1° febbraio ha cessato di operare Cloudwatt, il «cloud sovrano» voluto dal governo francese nel 2012 per proporre un’offerta di servizi di stoccaggio dei dati in grado di garantirne la confidenzialità. La lezione è che la sovranità digitale si allontana dalla visione westfaliana di sovranità legata al potere esclusivo dello Stato su un territorio. La dimensione per affrontare i problemi esaminati è inevitabilmente quella europea, e anche a questo livello la sovranità digitale non riguarda il potere di controllare il web, secondo una concezione tipica delle grandi autocrazie contemporanee, ma piuttosto la capacità di sviluppare un ecosistema europeo basato sull’apertura, anche agli operatori extraeuropei, sulla fiducia e sui diritti e che alla fine porterà a rafforzare il potere di controllo dell’utente sui propri dati. La via europea al digitale potrà realmente fornire un’alternativa valida al modello americano e a quello cinese?