Giorgio Armani: «Certa moda stupra le donne»
Lo stilista: spesso diamo messaggi sbagliati
«Evitiamo il ridicolo. Poi noi diciamo che lo donne sono stuprate in un angolo. Ma le donne continuano ad essere stuprate dagli stilisti e mi ci metto anche io. Trovo sia indegno». La frase forte è di Giorgio Armani, pronunciata durante l’incontro con i giornalisti dopo la sfilata della sua Emporio. Una collezione che è un inno alla libertà di vestire: corto, lungo, stretto, morbido. Un messaggio in abiti che lui ha voluto a tutti costi rendere più chiaro possibile. Cominciando con la capsule dedicata al riciclo: «R-EA». «Un altro segno del mio rispetto: dobbiamo pensare a chi verrà dopo e lasciar loro un mondo pulito».
Per chi gli chiedeva spiegazioni sulla riflessione forte, ha continuato e motivato: «Per esempio, la signora che vede un manifesto con seni e sedere fuori su di una pubblicità gigantesca, pensa: “Anche io voglio mostrarmi così”. Esistono molti modi di “stuprare” la donna, la moda può essere uno di questi». E ancora: «Costringerle in nome delle tendenze è indegno. Le tendenze per me non esistono, non sono niente ognuno faccia quello che sa fare. Bisogna cercare di migliorare la donna che vive adesso. Celebrare quelle del passato non mi appartiene. Quindi smettiamola. Non ci sto più. È indegno. Ho la mia età e posso permettermi di dirlo. Evitiamo di rendere la gente ridicola».
Ma non pensa che questa sia anche una mancanza di fiducia nelle donne che accettano messaggi sbagliati?
«Non è una mancanza di fiducia nel confronti delle donne, ma un riconoscimento della colpa che è anche mia, della moda, di dare a volte messaggi sbagliati».
Cosa dovrebbe fare la mo
Non parliamo più di tendenze Le tendenze per me non esistono, non sono niente ognuno faccia quello che sa fare. Bisogna cercare di migliorare la donna che vive adesso. Celebrare quelle del passato non mi appartiene. Quindi smettiamola. Non ci sto più
Siamo tornati indietro
Mi accorgo che oggi viviamo in un mondo complesso, difficile, anche per via della tecnologia, ma è come se fossimo tornati a cliché che pensavo di aver già rotto io negli anni Settanta, quando ho fatto le mie giacche
da oggi per evitare questo tipo di messaggio?
«Pensare di più alla gente vera e non solo agli spettacoli da passerella o da Instagram».
Ma le provocazioni non hanno sempre fatto parte della moda? In nome della libertà, anche. Basta dire la mini di Mary Quant.
«Ma la mini di Mary Quant rispondeva a un bisogno di emancipazione che era in corso e a una presa di coscienza delle donne, forte e generalizzata. La moda spesso oggi usa la provocazione fine a sé stessa ed è il messaggio che più mi irrita. Ho gli occhi inquinati dal ridicolo che c’è nella moda e dalla bruttezza che impera».
Moda «indegna», ma è il suo mondo. Indegno veramente?
«No. Questa era pura provocazione, anche nei vostri confronti».
Come sono cambiate le donne in questi anni? Negli anni 70, 80, 90 c’era più consapevolezza di sé stesse? Più libertà?
«Probabilmente sì. Mi accorgo che oggi viviamo in un mondo complesso, difficile, anche per via della tecnologia, ma è come se fossimo tornati a cliché che pensavo di aver già rotto io negli anni Settanta, quando ho fatto le mie giacche».
Le tendenze, però, sono funzionali al sistema: chi comprerebbe qualcosa altrimenti, visto che abbiamo tutti gli armadi già pieni?
«Ha ragione e la mia era una provocazione. Ormai ce ne sono talmente tante di tendenze che è come se non ce ne fosse nessuna. È meglio riconoscerlo».
Stiamo uscendo dalla dittatura della bellezza e dell’eterna giovinezza?
«Guardandomi in giro, penso di no».
Si parla tanto di «valorizzare i difetti»: ma un creativo che rapporto ha con un corpo non perfetto e non più giovane? Anche questo può essere di ispirazione?
«Sì, perché la moda, da sempre, ridisegna il corpo esaltandone i pregi e nascondendone i difetti a qualsiasi età. Si tratta soltanto di utilizzare nel modo migliore questi strumenti».