Narrativa
«Le peggiori paure» della britannica Fay Weldon pubblicato da Fazi non è molto verosimile ma non importa Al gran girotondo della perfidia. Divertendosi
Le peggiori paure di Fay Weldon è uscito per Fazi (traduzione di Maurizio Bartocci, pp. 270, 16). Il volume era uscito la prima volta nel 2002 per lo stesso editore
Una commedia, non una tragedia, è quella nella quale si ritrova Alexandra, la bella e famosa attrice piena di talento improvvisamente rimasta vedova di un amatissimo marito, brillante e corrosivo critico teatrale.
Del resto, Fay Weldon l’autrice britannica del testo, intitolato Le peggiori paure (edito da Fazi nella traduzione di Maurizio Bartocci), ci ha abituati al sarcasmo estremo capace di volgere il compianto in risata. E in questo suo romanzo ci ritroviamo in una vera a propria università della cattiveria, dove alla sfortunatissima protagonista della vicenda niente viene risparmiato.
Femminista osservante, anche se con qualche periodica, resipiscente messa a punto («Per secoli gli uomini hanno maltrattato le donne, ora però le donne, specialmente inglesi, tendono a trattare troppo male gli uomini»), in Le peggiori paure Fay Weldon (1931) non prende parte per nessuno dei suoi personaggi, maschi o femmine che siano, in quanto risultano tutti quanti maligni, ipocriti, opportunisti, oltre che menzogneri al massimo grado.
Sebbene il maggiore colpevole sembri in un primo tempo il marito, defunto per infarto (causato da cosa???) nella residenza di campagna mentre la moglie è in teatro a Londra, rivelatosi — post mortem e, a sorpresa della consorte soltanto — adultero e traditore seriale, c’è un contorno di amiche, di parenti, di conoscenti, di vicini di casa che fanno a gara in perfidia, invidia e colpi bassi.
Si salva la protagonista, la multitradita Alexandra?
Diciamo per il buco della serratura, in quanto a sua volta, pur resistendo onorevolmente ai numerosi colpi del destino — o, meglio, appunto di quei parenti, amici e conoscenti — in fatto di piccole e meno piccole vendette se la cava abbastanza bene.
Un festival della malvagità è il romanzo di Fay Weldon, di quella famigliare, domestica, di vicinato, spinta ai livelli estremi che, però, grazie alla penna pungente (e intinta nel veleno) dell’autrice, proprio non riesce a far piangere.
Ovvio che il lettore interessato alla verosimiglianza dei personaggi, non ne troverà a sufficienza, invano cercando un soggetto per lo meno normale, che non goda necessariamente delle disgrazie altrui, di quelle della povera Alexandra in questo caso, condannata dalla vox populi come pessima madre, moglie adultera, attrice mediocre e donna ottusa, accecata dalla propria fama, dalla propria bellezza. Ma l’intento dell’autrice non è quello di raccontare una realtà, bensì un concentrato delle possibili realtà; e, soprattutto, di divertire. E, importantissimo, di divertirsi, scrivendo, lei stessa.