A Rehovot, città barometro stallo tra Bibi e Gantz «Già si parla di rivotare»
Israele torna alle urne: è la terza volta in 12 mesi
In casa tiene appesa la foto di Benjamin Netanyahu che assaggia uno dei suoi falafel, tutti e due più giovani. Il leader della destra cominciava allora la scalata dentro al Likud; ne è ancora il monarca incontrastato. Fino al culto della personalità: almeno qui tra i banconi del mercato di Rehovot, dove Bibi è il re, e chi vuole togliergli la guida del governo è un traditore. «Il miglior primo ministro che abbiamo mai avuto, rispettato dai leader mondiali. Senza di lui siamo perduti», commenta Zev Efraym: da 35 anni serve le polpettine preparate con la farina di ceci allo stesso angolo aperto dal padre.
Questa città a sud di Tel Aviv rappresenta dal 2009 — l’anno in cui Netanyahu è tornato al potere e ci è rimasto senza interruzioni — il barometro per capire come votano e voteranno il resto degli israeliani: a conteggi fatti le scelte dei suoi 140 mila abitanti si sono discostate di pochissimo rispetto ai risultati nazionali.
La maggior parte degli intervistati, qui a Rehovot, dichiara di non aver cambiato idea, al massimo si sposta all’interno delle alleanze tra partiti. È lo stesso risultato registrato dagli ultimi sondaggi prima del voto di oggi, il terzo in meno di 12 mesi: il Likud è risalito ma si fermerebbe a uno-due seggi in più o al pareggio con Blu Bianco guidato da Benny Gantz, nessuno riuscirebbe a mettere insieme la maggioranza, arbitro resta Avigdor Lieberman che raccoglie consensi tra gli immigrati dall’ex Unione Sovietica.
«A Rehovot la combinazione di periferie disagiate e élite attratte dall’istituto Weizmann, la comunità ultraortodossa e i quartieri svecchiati dall’arrivo dei nuovi borghesi riproduce un microcosmo della nostra società», scrive il quotidiano Haaretz. A mancare dal campione sono gli arabi israeliani: la loro preferenza va soprattutto alla Lista Unica che potrebbe rappresentare ancora una sorpresa.
Sul retro dei caffé — dove
Il professore
«Ho votato Lieberman, contro Netanyahu: oggi potrei votare Gantz, ma deciderò all’ultimo»
lo spazio si apre nei piccoli cortili interni — ogni venerdì mattina i clienti di sempre si siedono attorno a un tavolo per discutere di politica. I parliament sono diffusi in tutto Israele, comuni quanto le divisioni in un Paese che non riesce a mettersi d’accordo su chi debba essere il prossimo primo ministro (e soprattutto se quello in carica debba dimettersi adesso che si siederà davanti ai giudici nel processo per corruzione).
Il Weizmann è uno dei centri di ricerca scientifica più avanzati al mondo e attrae premi Nobel. Ma neppure emergendo dai suoi laboratori il professor Jacob Sagiv — è immigrato con i genitori dalla Romania nel 1961 — riesce a immaginare la formula chimica per superare lo stallo. «Ad aprile scorso ero all’estero. In settembre ho dato il mio appoggio a Lieberman perché prometteva di deporre Netanyahu. Adesso potrei scegliere Gantz, ma sarà una decisione dell’ultimo minuto».
La famiglia di Daniella Dankner sostiene i laburisti da generazioni. Dalla sua galleria d’arte, spiega, passa la sinistra della città (o quel che ne resta). Da dominante che era nella politica e nella vita della nazione, il partito si agita ai minimi storici. «Ammetto che uscire di casa sarà uno sforzo. Io e i miei amici siamo sfiduciati, i numeri nei sondaggi non cambiano: quasi pareggio, nessuno è in grado di formare una coalizione. Rischiamo di ritrovarci nella stessa gabbia».
Itamar Moraz, produttore video, vuole soprattutto uscire dalla paralisi, il suo è il voto per non votare più: da Blu
Il produttore
«Ero attratto dal cambiamento. Ma voterò Likud, se no non ne usciamo»
Bianco di Gantz (ri)passa al Likud di Netanyahu perché è convinto che abbia maggiori possibilità di sbloccare la situazione. «Volevo il cambiamento, sono stato attratto dalle proposte sociali di Gantz. Però ho capito che non ne veniamo fuori, qualcuno già parla di quarte elezioni. Almeno Bibi sappiamo chi è. Chiamatela pure sindrome di Stoccolma».